La prima cosa che gli abitanti di Sarajevo chiedevano agli osservatori stranieri, quando nell’aprile del 1992 cominciò l’assedio di quella città, era sempre la stessa: «Ma come ci percepite? Ci stiamo comportando come gente normale o abbiamo perso ogni caratteristica di normalità?». Perché l’assedio – ogni assedio, da Troia a Kobanê – è sostanzialmente questo: una sfida alla normalità, una sorta di elettrocardiogramma sotto sforzo, perché vengono stressati tutti gli elementi percettivi, da quelli fisici (soffrire la fame, la sete e il freddo) a quelli psicologici (convivere con la paura, la violenza, la depressione, con l’alterazione del senso di realtà,...