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Assedio al governo. E al Colle

Assedio al governo. E al ColleGiorgio Napolitano e Enrico Letta

Forza Italia Con una maggioranza ora traballante, la nuova opposizione punta a Letta. Ma prima ancora, a Napolitano

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 27 novembre 2013

Non è solo l’annuncio dell’uscita dalla maggioranza. E’ una dichiarazione di guerra totale, alla quale seguirà oggi, ore 15.30, via del Plebiscito in Roma, l’avvio della campagna elettorale. L’annuncio di Paolo Romani, da nemmeno 24 ore capogruppo dei senatori forzisti, e del collega della camera Brunetta arriva alle 17 e non stupisce nessuno. Lo avevano già preannunciato in molti, a partire da Augusto Minzolini. Romani va giù piatto: «Non ci sono più le condizioni per proseguire nella collaborazione con questo governo». «Il maxiemendamento è assolutamente irricevibile». Brunetta, come da carattere, è più drastico: «Il governo delle larghe intese è finito: questo potete chiamarlo delle piccole intese», e «sarebbe opportuno che il governo Letta si dimettesse». La notizia è stata comunicata al capo dello Stato direttamente dai nuovi oppositori, al telefono. Non risulta che Napolitano abbia provato a fargli cambiare idea. Ci avrebbe provato Barroso, anche lui al telefono, direttamente col bellicoso cavaliere. Non ce l’ha fatta.

Berlusconi aveva anticipato la dipartita già da due ore, dopo la riunione con i capigruppo a Montecitorio: «Questa è la legge della stabilità delle poltrone. Se, come prevediamo, il maxiemendamento sarà pieno di tasse voteremo contro». Le tasse ci sono davvero, ma la decisione di votare contro era già presa: ci sarebbero volute sorprese miracolose per modificarla. Ma non aveva anticipato solo il passaggio all’opposizione l’ancora per un solo giorno senatore. Più minaccioso, aveva aggiunto che la manifestazione di oggi sarà «solo l’inizio» della mobilitazione popolare. Che sia vero è improbabile. Quanto a piazza Fi è sempre stata scarsetta. Ma non è quello il vero senso del messaggio. E’ in parlamento, anzi al senato, che il gioco duro è appena cominciato. Diventerà presto durissimo.

Qualcuno continua a pensare che con la fuoriuscita del reprobo estremista il governo sarà più coeso e forte. E’ un’illusione ingenua, o una bugia sfacciata. La realtà è opposta e a palazzo Madama già lo si avverte. Due notti fa, in commissione bilancio, solo un provvidenziale voto arrivato dall’opposizione ha salvato l’emendamento sull’Iva. Bocciato, avrebbe aperto una voragine di 9 miliardi. Il tratto finale della manovra è stato una via crucis, con la commissione costretta, per la prima volta dal 1996, a mandare il provvedimento in aula senza relatore. Senza Fi la maggioranza balla e traballa nelle commissioni principali, pareggia nella conferenza dei capigruppo, è appesa a un pugno di voti e ai senatori a vita in aula. Come ai tempi del Prodi II: l’incubo che il Pd voleva a ogni costo evitare.

Uno che si rende ben conto di essere finito nel Vietnam probabilmente c’è: Angelino Alfano. Non c’è nessun trionfalismo nel commento alla dipartita degli ex compagni di partito: «Esito annunciato. La legge di stabilità è un pretesto che non regge di fronte alla difficoltà di un Paese che ha bisogno di buongoverno e non di una crisi senza sbocco. La decadenza di Berlusconi è ingiusta, ma anche sabotare il governo è ingiusto».

Parole che hanno fatto digrignare i denti al quasi decaduto, che infatti medita, indeciso, sull’opportunità di infilare nel comizio di oggi pomeriggio la parola «traditori» per bollare quelli che in effetti considera tali. Probabilmente non lo farà, perché quando si tratterà di sfidare le urne anche di loro, certo in posizione molto subalterna, avrà bisogno. E quel momento, l’ora del voto, l’esercito forzista ritiene che arriverà presto. La strategia è palese: martellare il governo come avvenne a suo tempo con Prodi per spingere Renzi, che di spinte non ha poi troppo bisogno, a staccare la spina il prima possibile.

L’assedio è iniziato subito, diventerà molto più stringente oggi stesso, nel giorno fatidico della decadenza. Uno dopo l’altro tutti i forzisti reclamano le dimissioni di Letta e la richiesta di un nuovo voto di fiducia. Sarebbe nell’ordine delle cose, ma Napolitano è di altro avviso. Riceve letta al Quirinale e comunica che quella sulla legge di stabilità varrà anche come fiducia al governo. Sa quanto fragile sia da ieri il suo esecutivo e quanto rischioso sarà d’ora in poi chiedere la fiducia. Sa anche che il governo è il secondo bersaglio di Fi. Al primo posto, nella lista dei nemici da abbattere, c’è proprio lui, il presidente rieletto per volere di Silvio Berlusconi.

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