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Assalto mirato all’altoforno

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Pimbino I dipendenti lanciano un video-appello al papa e al parlamento. E qualcuno inizia lo sciopero della fame: «Sacrificati per privilegiare la siderurgia tedesca»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 22 aprile 2014

«Il governo ci dice sempre che siamo strategici. Bene, allora si riappropri dello stabilimento». In questa osservazione di Paolo Francini, che sta passando le feste pasquali in sciopero della fame davanti ai cancelli della fabbrica, è condensata la storia impossibile delle Acciaierie di Piombino. Non un’industria qualunque ma il secondo polo siderurgico italiano. Condannato alla chiusura, per decisione della massima espressione politica del paese. Una sentenza definitiva, si legge nei comunicati dei ministeri. Definiti, con formula quanto mai infelice, «competenti». E con la pelosa carità di chi loda il «senso di responsabilità» di quattromila lavoratori. Operai messi all’angolo fra l’accettare tanta cassa integrazione e contratti di solidarietà a breve termine. Oppure rifiutare, ribellarsi e non prendere nemmeno quei pochi soldi. Essenziali, va da sé, per bilanci familiari appena sopra la linea di galleggiamento. Anche quando le cose vanno per il verso giusto.
Paolo Francini lavora alle Acciaierie dal 1980, come manovratore ferroviario. Aveva vent’anni: «Ora ne ho 54. E non me la sono sentita di passare Pasqua a casa, dopo che al referendum sui contratti di solidarietà, dove mi sono astenuto perché non mi convince la soluzione per l’indotto (cig, ndr), ho pensato che se la cosa andrà avanti ci sarà una guerra tra poveri. Anche dentro lo stabilimento». Francini è impegnato in politica – consigliere comunale della «Sinistra per Castagneto» a Castagneto Carducci – e si è fatto un’idea precisa dello spegnimento dell’altoforno e della lenta agonia delle Acciaierie: «Ci condannano a morte perché è stato deciso di privilegiare alcuni interessi, che non sono quelli di Piombino. In questo paese, la siderurgia e anche altre produzioni non si possono più fare. Le rotaie per le ferrovie, le metropolitane e le tramvie, i laminati lunghi che produciamo noi, saranno fatte da altri. In Germania. E qualcosa arriverà anche nel nord Italia». Lì dove hanno i forni elettrici i padroncini dell’acciaio nostrano. Con ottime entrature in Confindustria, e al confindustriale ministero alle attività produttive.
In parallelo allo sciopero della fame di Francini, c’è l’appello a papa Bergoglio di alcuni suoi compagni di lavoro. Un video curato da Klaus Davi e dalla Cgil toscana, già affidato a tv e giornali e da consegnare ai parlamentari di Montecitorio e Palazzo Madama. Ma è a Piombino che la storia impossibile delle Acciaierie potrebbe prendere una piega diversa. «In questi giorni sono venuti a trovarmi e si sono fatti sentire tanti lavoratori. Più di quanto mi aspettassi. Però non c’è stata una partecipazione di massa della città. Dovremo fare un salto di qualità, se vogliamo tentare di salvare il nostro altoforno. Quante possibilità ci sono? Per me se non c’è una mobilitazione generale, se questa non diventa una emergenza nazionale, di possibilità non ce ne sono».
Frammisti agli operai che entrano ed escono all’inizio e alla fine dei turni, sui gradoni della principale portineria d’ingresso allo stabilimento, fra i tanti si è visto il sindaco democrat Gianni Anselmi. Poi la Fiom, con i delegati sindacali guidati dal segretario di zona Luciano Gabrielli, e i candidati sindaci di Rifondazione e delle altre realtà di sinistra della Val di Cornia: Fabrizio Callaioli di Piombino, Walter Gasperini di Campiglia Marittima, Giuliano Parodi di Suvereto. «La chiusura trascinerà tutta la valle in un baratro – osserva quest’ultimo – non solo l’indotto diretto, cioè i lavoratori delle ditte di servizi, ma tutte le attività commerciali e non che vivono di quanto gli operai e le loro famiglie versano quotidianamente negli esercizi. Al di là degli slogan e della fisiologica contrapposizione di proposte durante le campagna elettorali, è necessario un serio progetto di collaborazione tra enti, per bloccare questa emorragia lavorativa e mettere le basi per una nuova economia della valle».
Anche il candidato pentastellato piombinese Pasquinelli si è unito al pellegrinaggio laico di solidarietà con lo sciopero della fame di Francini. «Ma qui in città – avverte Alessandro Favilli, segretario toscano del Prc – c’è anche gente a cui questa situazione non fa alcun effetto. Candidati sindaco, e potenziali consiglieri comunali, che aspettano la chiusura della fabbrica per tornare alla carica con le ‘loro’ politiche. Sono quelli che vorrebbero costruire due nuove strade nel parco del promontorio, e cementificare con migliaia di villette la zone delle Fabbriciane, dietro il golfo di Baratti. Aspettano la fame”.
Intanto oggi, alla vigilia della messa in coma farmacologico dell’altoforno, con una «carica in bianco» per far diminuire progressivamente la temperatura, a Piombino arriva l’assessore toscano alle attività produttive Gianfranco Simoncini. E per domani è fissata l’assemblea di fabbrica con tutte le forze politiche locali. Che hanno ben presente le parole di Paolo Francini, che oggi pomeriggio rientrerà in fabbrica dopo due giorni senza cibo e senza sonno: «E’ troppo tardi solo quando ci si arrende».

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