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Aspiranti sindaci 2016, un rebus

Aspiranti sindaci 2016, un rebusPiero Fassino

Città-chiave per il Pd Torino, Bologna e Trieste si giocano il «bis», mentre Varese è già un caso

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 17 luglio 2015

La primavera degli aspiranti sindaci del Pd sconta la graticola politica di una stagione che eredita il fallimentare esito dell’ultimo test nelle Comunali (da Venezia, Arezzo, Enna fino a Rovigo e alla Sardegna). Il quadro di partenza si rivela già un mezzo rebus.

A Torino, scade il mandato di Piero Fassino, l’ultimo segretario Ds che nel 2007 «traslocò» la ditta originaria nel partito nuovo a vocazione maggioritaria. Dal 5 luglio 2013 agli impegni di sindaco abbina quelli di presidente dell’Anci, che comporta la «contrattazione» con palazzo Chigi per conto dei Comuni, grandi e piccoli. Da mesi, la ricandidatura di Fassino è data per scontata. Si aspetta soltanto la ratifica ufficiale del diretto interessato. Tant’è che il segretario provinciale Fabrizio Morri si è più che sbilanciato: «Non vedo candidato migliore. Se Piero darà la disponibilità non vedo chi potrebbe avere carte più forti delle sue». Primarie? Ovviamente, no: «Fassino da sindaco ha già fatto un mandato. Dovrebbero emergere ragioni valide per ritenere che non abbia governato bene. Mi pare piuttosto improbabile…».

L’altra città-chiave per il Pd è Bologna. Virginio Merola nel 2011 è stato eletto con il 50,47% dei consensi e il Pd non era andato oltre il 38,2%. Ma l’ex «roccaforte rossa» è contendibile dal 1999, mentre negli ultimi anni militanti e fedelissimi hanno già dovuto ingurgitare rospi a ripetizione: dalle dimissioni di Flavio Delbono (con il commissariamento Cancellieri…) al fallimento politico di Bersani, fino all’inquietante astensionismodelle Regionali 2014.

Per Merola, un bis che si preannuncia tutt’altro che scontato. La campagna elettorale non potrà prescindere dall’«operazione Fico»: la mini-Expo permanente versione Farinetti & Coop, con 55 milioni di patrimonio immobiliare pubblico votati alla «fabbrica del gusto». Senza dimenticare il referendum sui soldi alle scuole private che a maggio 2013 ha registrato 50 mila voti laici e di sinistra.

E a proposito di amministratori Pd sussidiari, a Trieste si profila assai complicata la difesa del municipio da parte del centrosinistra. Roberto Cosolini era stato scelto con le Primarie (2.445 partecipanti), ma soprattutto contava sulla coalizione Doc: eletto anche grazie a Sel che viaggiava al 5,5% e alla Federazione di sinistra che pesava quanto l’IdV.

Cinque anni dopo, scenario politico ben diverso. Con la Lega Nord che mette già in campo il suo segretario provinciale Pierpaolo Roberti, 34 anni. E l’ex sindaco Roberto Dipiazza che ricompare sulla scena del centrodestra e fa subito innervosire Debora Serracchiani.

Come Milano, in primavera scatta la verifica anche per gli altri sindaci dell’«onda arancione». Luigi De Magistris a Napoli fa storia a se come esponente dell’ala post-dipietrista, mentre Massimo Zedda a Cagliari interpreta l’anima della sinistra alternativa al Pd che nella «capitale» della Sardegna continua a scontare la fusione fredda di Ds e Margherita.

Infine, c’è il «caso Varese». Il Pd conta di riconquistare il municipio, non solo sulle ali dell’entusiasmo renziano. Ma in vista delle Primarie, compare il 42enne Dino De Simone, candidato sindaco non ufficiale anche se regolarmente iscritto al partito. I vertici locali però accarezzano l’idea di affidarsi a Daniele Marantelli, deputato bersaniano allineato a Cuperlo. Lui è disponibile, finchè d’improvviso qualcosa si incrina con la segreteria alla ricerca del «nuovo che avanza». Marantelli fa dietrofront con una lettera tutt’altro che ispirata all’obbedienza. E De Simone, da un mese, è ripartito a testa bassa con incontri elettorali e la presentazione di un programma amministrativo personalizzato.

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