Aspettando l’arsenale della paura
San Ferdinando Venerdì dovrebbe arrivare il cargo di armi chimiche dalla Siria. Un pasticcio all’italiana nella piana di Gioia Tauro mette in allarme la popolazione minacciata dall’iprite
San Ferdinando Venerdì dovrebbe arrivare il cargo di armi chimiche dalla Siria. Un pasticcio all’italiana nella piana di Gioia Tauro mette in allarme la popolazione minacciata dall’iprite
Depliant incomprensibili, manifesti pochi, improvvisati e ancora da affiggere, piani di evacuazione ignoti a una popolazione ignara, esercitazioni al porto da dilettanti allo sbaraglio. Benvenuti a San Ferdinando dove venerdì, assicurano i lavoratori del porto, dovrebbe arrivare il cargo pieno di armi chimiche proveniente dalla Siria. Dovrebbe. Perché a queste latitudini hanno imparato a diffidare. E specialmente degli annunci governativi. Da 5 mesi, infatti, tutto è lasciato al caso. Solo promesse e rassicurazioni. L’Italia qui, nella piana di Gioia Tauro, non cambia verso. Tutt’altro. Superficialità e dilettantismo.
Un pasticcio all’italiana. «Qualche settimana fa durante un’esercitazione al porto i lavoratori hanno sollevato un container che si è staccato ed è caduto a terra subito dopo» ci dice Pino Romeo, urbanista, tra i fondatori del locale comitato contro il rigassificatore, ed animatore del network Sos Mediterraneo. Pensate cosa sarebbe successo se il container fosse stato pieno di armi. «Ci sono sostanze chimiche siriane che con un solo litro possono uccidere 100mila persone» sottolineava qualche giorno fa Vangelos Pissias, chimico, professore dell’Università di Atene, giunto in Calabria insieme a esponenti di Siryza: per incontrare attivisti, comitati, giornalisti, per informare sui reali pericoli delle operazioni di trasbordo dell’arsenale siriano nel porto di Gioia e della idrolisi nel Mediterraneo, prevista in Grecia, a largo di Creta fra qualche mese.
A far paura è sopratutto il carico di iprite, sostanza che penetra in profondità nello spessore della cute. Ha un odore simile alla senape, da qui l’appellativo di “gas mostarda”. Concentrazioni di 0,15 mg di iprite per litro d’aria risultano letali in circa dieci minuti. «L’azione dell’iprite è lenta, da quattro a otto ore, e subdola perché nel contatto non si avverte dolore» ha ricordato Pissias. Per fronteggiare un’eventuale emergenza iprite, il governo avrebbe dovuto rifornire le strutture ospedaliere di grandi quantità di atropina. Ma chi le ha viste?
Oltre all’iprite c’è anche il Sarin e il VX ovvero il gas nervino di ultima generazione che può uccidere anche solo venendo a contatto con la pelle, senza bisogno che venga inalato o ingerito. Ne basta un solo milligrammo. Da quel 15 gennaio, giorno dell’annuncio, che qui tutti ricordano son passati oltre 150 giorni. Si sono alternati due governi, è passata una sfilza di ministri ma la popolazione della Piana è stata lasciata in balia di se stessa. Anzitutto i lavoratori. Come i vigili del fuoco, ad esempio. Antonio Jiritano, sindacalista di Usb, nel nucleo Ncbr, già a gennaio aveva denunciato la gestione approssimativa tra tute protettive scadute e impianti di decontaminazione in stato di abbandono.
Dopo aver rilasciato queste dichiarazioni gli hanno dato il benservito. Lui e alcuni suoi colleghi sono stati esautorati. Oggi denuncia l’assenza di un piano di evacuazione sanitario in caso di probabili fuoriuscite di gas. «Altro problema è la temperatura. È stato detto che a 22 gradi i gas possono evaporare, e visto che sono temperature consuete, non sappiamo ancora come come portarci se è sufficiente raffreddare i container. Non abbiamo nemmeno un kit per pronto intervento, per “autosalvarci”. Lo abbiamo detto e ripetuto al ministro Alfano ma nessuna risposta né da lui né dal Governo». Anche i portuali sono infuriati. Specie quelli del Sul, la sigla più combattiva tra le banchine. «Il territorio non ha strutture ospedaliere adeguate – esclama Mimmo Macrì – Abbiamo fatto ben 5 richieste di incontro, ma né l’azienda né le istituzioni ci hanno risposto. A pochi giorni dal trasbordo non sappiamo né chi movimenterà il carico né che materiale sia».
A parte qualche aereo militare che ogni tanto sorvola i cieli di San Ferdinando, non sembra affatto di essere alla vigilia della «più grande operazione navale in un porto italiano dalla Seconda guerra mondiale ad oggi» come l’aveva definita l’ex ministro degli Esteri, Emma Bonino. La popolazione è del tutto disinformata. Da qualche mese circola un insignificante depliant curato dai ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture. Parla di «materiali chimici» ma, guarda caso, non di armi, sottolinea che si tratta di «un’occasione per Gioia Tauro e San Ferdinando, un motivo d’orgoglio», rimarca che l’operazione si svolgerà in 10-24 ore, «in massima sicurezza e senza stoccaggio a terra, mentre nel porto sarà assicurata la vigilanza di security, sia lato mare sia lato terra». Tutto falso, ribattono gli attivisti dei comitati. «In questi mesi abbiamo smontato pezzo per pezzo queste finte rassicurazioni» ci spiega Rossella Cerra di Sos Mediterraneo. «Questa scellerata operazione si svolgerà nella massima segretezza e in spregio alla Convenzione di Arhus per la quale la trasparenza e il coinvolgimento delle popolazioni nelle questioni ambientali assurgono a valore imprescindibile».
I comitati non demordono. «Tutto è ora nelle mani del sindaco di San Ferdinando» dicono. Questi potrebbe infatti avvalersi del «principio di precauzione» in vigore nella normativa europea che impone al primo cittadino di intervenire nel caso di una minaccia di danni gravi e irreversibili all’ambiente e alla salute. Ma sul coraggio dei politici e degli amministratori pochi son pronti a scommettere. Intanto, la colla per affiggere i manifesti che annunciano alla popolazione l’imminente arrivo delle navi non è arrivata.
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