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Askold Kurov: «Racconto la vicenda di Oleg Sentsov»

Askold Kurov: «Racconto la vicenda di Oleg Sentsov»il regista Askold Kurov

Berlinale Il regista parla del documentario «The State of Russia vs Oleg Sentsov»: «Ha fatto scelte coraggiose e il processo farsa che ha subito e la condanna da scontare in Siberia sono stati una mossa di propaganda per spaventare i dissidenti»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 14 febbraio 2017

«Vladimir Vladimirovi dobbiamo assolutamente fare qualcosa per Oleg Sentsov». È il regista Aleksandr Sokurov a rivolgersi così a Putin, al quale implora clemenza per il collega che all’epoca si trovava sotto processo, accusato di aver pianificato degli attentati terroristici in Crimea. Scrittore, programmatore di videogiochi e infine regista – il suo Gamer del 2011 è stato ospite di Festival in tutto il mondo – Oleg Sentsov é anche un attivista politico, che ha preso parte al movimento di piazza Maidan e si è opposto all’annessione della Crimea, dove è nato e dove la sua famiglia vive ancora oggi, da parte della Russia. In The Trial – The State of Russia vs Oleg Sentsov il collega e amico regista Askold Kurov segue il processo intentatogli dallo Stato russo dopo che Sentsov viene accusato da due altri detenuti di far parte del movimento di estrema destra Right Sector e di aver progettato degli attentati terroristici, tra i quali uno alla statua di Lenin a Sinferopoli. Nel corso del processo i testimoni ritrattano le loro dichiarazioni, dicendo che sono state estorte sotto tortura, e lo stesso Sentsov accusa la polizia di averlo torturato per ottenere una confessione. Per la sua assoluzione si batte strenuamente la cugina del regista, mentre i due figli restano a casa con la nonna e – al telefono col padre – gli chiedono quando tornerà a casa, senza sapere ancora che la sentenza lo condannerà a vent’anni di detenzione, da scontare in un carcere di massima sicurezza siberiano.

Perché ha deciso di girare questo documentario?

In tempi di forti divisioni come quelli che stiamo vivendo, raccontare quelle vicende è importante. Inizialmente Oleg non era politicamente impegnato, pensava solo ai suoi film. Poi le proteste in Ucraina hanno cambiato tutto. Le scelte che ha fatto sono state determinanti molte persone, ispirate dal suo coraggio. Allo stesso tempo il processo farsa che ha subito e la sua condanna «esemplare» sono stati una mossa di propaganda per spaventare i dissidenti: in molti si sono trasferiti in Ucraina per paura delle persecuzioni.

Per lei invece qual è stato il momento di svolta?

Anche io pensavo che la politica e il mestiere di regista fossero due cose distinte, ma alle volte gli eventi ti riguardano così da vicino che il confine diventa più sfumato ed è impossibile non prendere posizione. Io vivo a Mosca, e per me e molti altri la svolta è arrivata con le contestazioni del 2012, il più grande movimento di protesta contro le politiche governative che si fosse visto in almeno vent’anni. All’epoca sembrava che il cambiamento fosse imminente, ma poi sono iniziate le repressioni e tutto si è fermato.

Ha mai avuto paura di essere lei stesso nel mirino del governo?

In generale no, perché è raro che in Russia vengano perseguitati degli artisti, anche per questo il caso di Oleg è così emblematico. Ma mentre giravo il documentario era psicologicamente difficile sapere che i personaggi del film erano sorvegliati: non sai mai quello che potrebbe succedere.

È ancora in contatto con Sentsov? 

Purtroppo non direttamente ma attraverso sua cugina e i suoi legali. Il suo avvocato gli ha fatto visita di recente in carcere in Siberia, e ci ha detto che la situazione non è delle migliori: in questo periodo la temperatura raggiunge i 50 gradi sotto zero. Oleg sente i suoi familiari solo per telefono, cosa frequente tra i detenuti che devono scontare una lunga pena, perché incontrare i parenti lì rende più vulnerabili. Però può prendere libri in prestito dalla biblioteca, ha detto di stare lavorando a un romanzo e di aver già finito le sceneggiature di cinque film.

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