Visioni

Asia Argento e quel difficile scambio tra «amiche»

IL CASO A proposito della "denuncia" pubblica di Rose McGowan nei confronti della attrice italiana. Complesso muoversi in questa confusione ma il bene del movimento #metoo rimane salvo

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 29 agosto 2018

La notizia è che Rose McGowan ha dichiarato che a rendere pubblici i messaggi privati in cui Asia Argento ammetteva di aver avuto un rapporto sessuale con Jimmy Bennett è stata la sua compagna Rain Dove. Rose McGowan aggiunge poi di aver incoraggiato lei stessa la fidanzata a portare tutto il materiale alla polizia. Un moto di trasparenza, penserà qualcuno, una richiesta di risarcimento direbbe invece qualcun altro. Quale sia l’ipotetico maltolto che muove delle persone, in questo caso donne, a ergersi a giudici esigenti verso cosiddette deprecabili condotte altrui, in questo caso di un’altra donna, avrebbe bisogno di un’indagine più approfondita; nelle vite di ciascuna delle protagoniste di questo a tratti imbarazzante e doloroso scambio poi dato in pasto ai media. Di chi dovrebbe essere dunque l’occhio, o meglio la mano, che si tramuta in mannaia sulla ipotetica violenza subita dal diciassettenne amico di Asia Argento a cui lei ha dato dei soldi dopo specifica richiesta fra legali? A chi chiede esattamente Rose McGowan, compagna e sostenitrice del #metoo, quando, alla fine del comunicato, esorta Asia Argento a «fare la cosa giusta. A essere onesta. A essere giusta. A lasciare che la giustizia faccia il suo corso. A essere la persona che avresti voluto che Harvey (Weinstein, ndr) fosse stata»? Apparentemente la domanda è rivolta all’amica attrice, tuttavia è un tale coacervo di espiazione e senso di colpa, con relativa digestione di collera attraverso vendetta, che risulta almeno strano sia rivolta esclusivamente al bene di Asia Argento. Sembra essere invece una triste storia a metà tra un dialogo adolescenziale e un gossip di infima categoria. Per la modalità, per lo sbandierare inutile dichiarandosi «salve» e «buone» per aver «denunciato» la presunta ipocrisia di una propria simile che invece verosimilmente si stava semplicemente confidando. Richiamare, alla fine del pubblico messaggio di pentimento, il nome dell’uomo che ha molestato entrambe (Asia e Rose) pone una pietra tombale sul trovare un punto politico plausibile della faccenda e apre invece il baratro di una miseria abbastanza inqualificabile. Tuttavia, seppure sotto i colpi di una sassaiola di luoghi comuni che prende le sembianze di un giustizialismo d’accatto, ancora una volta è da ribadire quanto il movimento #metoo sia l’unico elemento da salvaguardare. Da tutta questa difficile confusione.

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