L’artista danese Asger Jorn

Per recapitare il suo rifiuto alla Fondazione Guggenheim, che gli aveva incautamente attribuito una delle sue ricchissime fellowship, Asger Jorn inviò un telegramma la cui minuta, vergata in furente stampatello, sarebbe divenuta poi reperto da museo: «GO TO HELL WITH YOUR MONEY BASTARD – STOP – REFUSE PRICE – STOP – NEVER ASKED FOR IT – STOP – AGAINST ALL DECENSY MIX ARTIST AGAINST HIS WILL IN YOUR PUBLICITY – STOP – I WANT PUBLIC CONFIRMATION NOT TO HAVE PARTICIPATED IN YOUR RIDICULOUS GAME JORN» (le parole «bastard» e «ridiculous» furono aggiunte dopo una revisione, durante la quale l’autore si era trovato evidentemente troppo pacato). Saldo temperamento dell’avanguardista qui se rend pas, come recita il titolo di uno dei suoi lavori più celebri, il pittore dello Jutland avrebbe trovato assai poco interessanti le giustificazioni con le quali un vandalo – sedicente artista in cerca di gloria, e chissà, forse di qualche fellowship elemosinata come suggello alla propria nullaggine: e perché nominarlo? – ha danneggiato, forse irreparabilmente, uno dei suoi quadri iconici: Den Foruroligende Ælling, più noto con il francese Le canard inquiétant (L’anatroccolo inquietante).

Il dipinto, oggi parte della collezione permanente del Museum Jorn a Silkeborg in Danimarca, fu realizzato nel 1959. Erano gli anni degli esperimenti nucleari negli atolli del Pacifico, della corsa agli armamenti: la sensibilità pacifista e antifascista di Jorn si era forgiata dapprima nella Parigi degli anni trenta, dove studiò e lavorò con Kandinskij, Léger e Le Corbusier, poi tra le file dei comunisti nella resistenza danese durante l’occupazione tedesca, e si espresse compiutamente, più tardi, nell’adesione all’Internazionale Situazionista accanto all’amico Guy Debord, e nella breve esperienza del gruppo d’avanguardia CoBrA.

Fin dagli anni francesi Jorn aveva sperimentato la pittura informale, dalla quale si fece tentare a più riprese per poi distaccarsene e tornare al figurativo: al crocevia di questa oscillazione stilistica resta il suo dipinto forse più celebre, una rielaborazione del racconto di un reduce, risalente all’inizio degli anni cinquanta, realizzato in Italia e ribattezzato successivamente Stalingrad, frutto di cancellazioni e distruzioni della pittura che riecheggiavano «la folle risata» della guerra, nella definizione dello stesso Jorn. Il quadro, al quale l’autore continuò ad apportare modifiche fino a pochi mesi prima della sua morte avvenuta nel 1973, assunse la stessa valenza simbolica che era spettata alla Guernica di Picasso per la Guerra civile spagnola, e assicurò all’artista una sicura fama di nemico della guerra.

Per Le canard inquiétant Jorn acquistò a pochi soldi un anonimo quadro al mercato delle pulci, un paesaggio boschivo con uno stagno; sopra la tela pre-esistente, a colpi di spessa pittura dai colori accesi, dipinse un gigantesco, surreale anatroccolo, lasciando che nella perturbante figura dell’animale si intuisse quella di un fungo atomico. L’autore non aveva mai smesso di ribadire il suo provocatorio apprezzamento per le tele dei «semplici paesaggisti», che portavano in sé una chiarezza e una ingenuità ancora fertile e non compromessa. Il détournement non partiva affatto da un presupposto di «appropriazione» del lavoro altrui, e anzi restituiva a nuova vita il dimenticato anonimo.

Il vandalo di Silkeborg ha fatto ingresso al Museum Jorn dopo aver annunciato sulla bacheca di un suo profilo virtuale che presto sarebbe stato possibile ammirare al museo una sua opera. Ha preso dalla tasca un grosso pennarello nero e ha scritto il suo nome sulla tela (sprovvista di vetro, nel rispetto di una precisa indicazione dell’autore); i tecnici incaricati del restauro hanno dichiarato che la punta è stata premuta con forza dentro la pittura e che per questa ragione sarà difficile rimuovere l’inchiostro nero. Riposto il pennarello, il vandalo ha sfoderato un tubetto di colla a presa rapida, e dopo averne spremuto il contenuto sulla tela, in particolare sulla parte dipinta da Jorn, ha applicato una fotografia di se stesso, pressandola con le mani, a lungo e indisturbato, per assicurarsi che la colla aderisse al meglio. Arrestato (e poi rilasciato dopo essere stato denunciato), ha dichiarato che la sua altro non era che la continuazione del lavoro di Jorn, e una radicale messa in discussione del concetto di paternità dell’opera. Quando gli è stato detto che la colla utilizzata è del tipo più resistente e che forse non sarà possibile raschiarla via, il vandalo si è detto sinceramente dispiaciuto, e che non era sua intenzione danneggiare il quadro in via permanente.

E c’è un’ulteriore, odiosa sfumatura nella vicenda di Silkeborg: nella sua impresa il vandalo si è fatto riprendere da un altro «artista», appartenente a un noto gruppo neofascista danese, che a sua volta ha trasmesso sulle reti sociali la registrazione, accompagnata da commenti di giubilo: avanguardista socialista, pacifista engagé, Jorn è stato forse oggetto di una volgare aggressione politica. La sua generosità artistica e umana e il suo genio iconoclasta oscurano il narcisismo patologico del mediocre, rendendo innecessaria una confutazione estetica dell’atto vandalico, per la quale si potrebbe tuttavia coinvolgere lo stesso Jorn, che, chiamato a pronunciarsi sul bello, dichiarò: «Il non-estetico non è il brutto, ma è il noioso».