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Ascoli oggi è più nera che bianca, è la nuova destra senza forzisti

Ascoli oggi è più nera che bianca, è la nuova destra senza forzistiAscoli Piceno. Piazza delle Logge

Ballottaggi Il nuovo sindaco Fioravanti, scelto da Roma, è una creatura del suo predecessore. I berlusconiani alla fine si squagliano. Pd al 13 per cento, anche meno delle politiche. La sinistra-sinistra guidata dal medico Nardini ha incassato al primo turno un dignitoso 10 per cento

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 12 giugno 2019
Mario Di VitoAscoli Piceno

Ascoli città bianconera. E non è una questione calcistica. Da queste parti c’è sempre stato un centro molto forte e una destra pure poderosa. Ascoli più nera che bianca. Domenica al ballottaggio si sono sfidati un candidato sostenuto da Lega e Fratelli d’Italia e un altro con Forza Italia e paleodemocristiani al seguito. Ha vinto il primo tanto a poco: 59% a 41%.

NEGLI ARCHIVI C’È UNA VERITÀ abbastanza raggelante. È la prima volta dal dopoguerra che la destra prende il potere senza il consenso dei cattolici. Era accaduto solo tra il 1922 e il 1925 e prima della Liberazione, tra l’ottobre e il dicembre del 1943. Dentro questo discorso ci sono due anime che nei decenni hanno convissuto non sempre in maniera tranquilla. Spiega un militante storico della sinistra ascolana: «Da una parte il sindacalismo squadrista missino e dall’altra il notabilato padronale dello scudo crociato». Ascoli, per la cronaca e per la storia, ha appena eletto il consiglio comunale più a destra d’Italia: 25 seggi su 32.
E LA SINISTRA? Tutto a posto e niente in ordine, grazie. Il Pd pensava di aver toccato il fondo nel 2014, quando il 40% renziano delle Europee si tradusse in un 14% alle comunali. Questa volta i dem hanno preso addirittura un punto in meno.

In compenso la sinistra-sinistra ha dato segnali incoraggianti: la lista Ascolto e Partecipazione guidata dal medico Emidio Nardini ha incassato al primo turno un dignitoso 10%. Le due forze insieme sarebbero andate al ballottaggio, ma è uno di quei casi in cui la somma non fa in totale: si tratta di anime inconciliabili, dove va una non andrebbe mai l’altra e viceversa.

IL NUOVO SINDACO di Ascoli si chiama Marco Fioravanti, ha 36 anni, è soprannominato «lu benz» perché in gioventù ha fatto il benzinaio a Monticelli, periferia est, anche se adesso ha gli abiti, i toni e i colori del politico navigato. Già un anno fa sembrava fosse arrivato il suo momento: candidato all’uninominale per la Camera con la coalizione di centrodestra, perse maluccio contro un non molto noto avvocato del Movimento Cinque Stelle.

I miracoli a volte accadono e quella che sembrava una meteora destinata a sparire nel nulla adesso è sindaco. La scelta è stata fatta a Roma, e lo dicono tutti apertamente, come se fosse un vanto. I vertici di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno designato lui, poi però i forzisti si sono straniti, non hanno presentato il simbolo e così è nata la candidatura di Piero Celani, nato democristiano, cresciuto berlusconiano, sindaco per due mandati dal 1999 al 2009, poi presidente della Provincia e consigliere regionale almeno fino all’anno prossimo. Per tentare la riconquista di Ascoli, Celani aveva messo in piedi un esercito di revenants e vecchi lupi universalmente ritenuti bolliti. Al primo turno ha sfondato il 20% grazie alle preferenze personali dei cammellieri delle sue liste, al ballottaggio si è squagliato come neve al sole, la città l’ha rifiutato e lui è stato travolto dalla nuova destra giovane in maniche di camicia e jeans, con due ex esponenti del Pd imbarcate alla vigilia delle elezioni. Una, Monica Acciarri, ha preso un pacco di preferenze e troverà di sicuro posto in giunta.

L’EX SINDACO, Guido Castelli, è l’architetto della vittoria. In molti sospettano che Fioravanti sia poco più che un suo burattino e lui non fa niente per smentire queste voci. Anzi, nella notte del trionfo ha quasi confessato: «Celani ha voluto un referendum su di me e l’ha perso». Adesso per Castelli si spalancano le porte della candidatura a governatore della Regione Marche, con non poche possibilità di successo.

IL PD, PER QUESTO, ha più o meno dato indicazione di voto per Celani al ballottaggio, ipotizzando che una sconfitta di Fioravanti avrebbe azzoppato Castelli nella sua nuova corsa. Ragionamento giusto, risultato sbagliato: i numeri parlano da soli, anche se alle urne c’è andato solo un ascolano su due.

ADESSO TRA LE LOGGE della piazza del Popolo già cara a Citto Maselli, Dustin Hoffman e Giuseppe Piccioni, il clima pare essere cambiato, anche se in realtà è sempre lo stesso. Al massimo si è dimostrato che la destra italiana ha un futuro anche senza i berlusconiani.

«Cambiamo Ascoli», ha detto Fioravanti nella sbornia della vittoria. Proverà a farlo insieme a chi ha spadroneggiato nell’ultimo decennio, sostanzialmente senza opposizione.

IL CONTO FINALE È SALATO: il terremoto del 2016 ha accelerato la decrescita della popolazione, scesa sotto la soglia dei 50mila abitanti. Dal 2008 sono stati persi oltre 30mila posti di lavoro sulla zona industriale e la città appare cupa, grigia, ripiegata su se stessa. L’Istat certifica che questo è il territorio con i salari più bassi d’Italia. A poco servono i locali che aprono e chiudono in centro, nel sacro nome degli aperitivi hipster e di un turismo che non è mai decollato davvero. Il cambiamento, se mai ci sarà, è rinviato al 2024. Fa paura anche solo pensarci.

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