«Quanto è difficile per un ragazzo di diciassette anni non perdere il senso della realtà?» chiede un reporter. «Per un tennista è impossibile avere il senso della realtà», risponde prontamente il collega. La citazione è tratta da The World vs Boris Becker, scritto e diretto da Alex Gibney e visibile su Apple TV+.
Divisa in due episodi, Trionfo e Rovina, la miniserie racconta di una parabola, perché Boris Becker è il fenomeno che vinse Wimbledon nel 1985 a diciassette anni, e se lo aggiudicò l’anno successivo (forse la vera impresa), e poi a fine carriera si trovò ad affrontare processi e la detenzione in un carcere londinese per evasione fiscale e bancarotta.

LE INTERVISTE a Becker e ad altri testimoni delle due epoche, così vicine e così lontane tra loro, compongono un documentario tradizionale che ha il pregio di rielaborare un’epoca sportiva e sociale anche attraverso un corposo materiale di repertorio. Si possono rivedere brani di celebri match con Ivan Lendl, John McEnroe, Stefan Edberg, riscoprire le attenzioni smisurate e morbose dei media per il teenager famoso quanto Madonna e Michael Jackson. E, naturalmente, prendere nota delle cronache giudiziarie che hanno recentemente contribuito alla definitiva distruzione dell’eroe.
Nella prima parte, uno dei protagonisti indiscussi è il manager e mentore, Ion Tiriac. Quello che dopo l’inaspettato successo di Wimbledon rapì letteralmente Becker impedendogli di tornare a casa sua in Germania, e confinandolo in un albergo a Monte Carlo. «Ti insegnerò cosa è giusto e cosa è sbagliato nella tua vita», gli spiegò l’ex tennista rumeno e potente uomo d’affari quando cadde Nicolae Ceaucescu.

Tiriac sapeva troppo bene quale tipo di vertigine avrebbe preso il suo giovane atleta, quello che serviva a velocità impossibili per gli avversari, con una potenza impressionante, disposto a tuffarsi per terra su qualsiasi superficie. E quando si è improvvisamente così in alto, il baratro è ancor più temibile. Media, tifosi, persone che non sapevano niente di tennis, tutto il mondo in un attimo si era concentrato su un ragazzino nato a Leimen nell’ex Germania Ovest. La crisalide era diventata farfalla. Si trattava di volare…di vincere e di fare soldi.
Ad ogni modo, Becker non tradì le aspettative, continuò ad alzare trofei, seppur tra molte sconfitte e polemiche, e grazie a Tiriac si arricchì notevolmente. Dopo qualche anno il ragazzino si trovò a essere un milionario poco più che ventenne con poca istruzione alle spalle e tanta autostima.

LA PRIMA PARTE si chiude con la vittoria degli Australian Open nel 1991 ai danni di uno dei suoi grandi rivali, Lendl, e la conquista della prima posizione nella classifica mondiale. L’ascesa è compiuta. Nel secondo atto, Rovina, Gibney sposta subito la camera altrove. Non ci sono racchette e palline, terra rossa, erba e cemento, avversari su cui esercitare la propria forza fisica e mentale. Le immagini sono quelle di un furgoncino che conducono Becker all’interno della Wandsworth Prison, a meno di cinque chilometri dai campi di Wimbledon. Poi sarà trasferito in un carcere per stranieri. Intanto resta una storia alla quale probabilmente si dà risalto solo per le vittorie del protagonista e per quel gusto sadico nel vederlo abbattuto. È nella natura del mondo dello sport, nel suo spingere individui su terreni infidi, dove le sabbie mobili sono reali e non finte come in un film di Tarzan. E quegli eroi improvvisati, invece che battersi fieramente i pugni sul petto urlando, piangono chiedendosi come sia potuto accadere di aver perso tutto, ignorando quanto anche la vittoria non sia da considerarsi un atto dovuto.