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Arturo Cirillo e il vaudeville romantico di Jane Austen

Arturo Cirillo e il  vaudeville romantico di Jane Austen

A teatro L'adattamento per il palcoscenico di «Orgoglio e pregiudizio» del regista campano

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 8 gennaio 2022

Ha finalmente potuto riprendere il suo giro, dopo un fuggevole debutto prelockdown a Napoli più di due anni fa, Orgoglio e pregiudizio (all’Ambra Jovinelli ancora oggi e domani, poi in tournée), il mitico romanzo di Jane Austen, adattato per il palcoscenico da Antonio Piccolo e portato in scena da Arturo Cirillo, che ne è anche protagonista in due ruoli, il capofamiglia Bennet e la vecchia e pretenziosa zia di uno dei futuri mariti (la produzione è di Marche Teatro). E lo spettacolo è davvero piacevole, non solo perché dà corpo a un romanzo che da due secoli è un vero testo «di formazione» per gli adolescenti, ma anche perché Cirillo è il primo a divertirsi, e a far divertire il pubblico, in quella sarabanda di perbenismo di sola facciata, di matrimoni vagheggiati e rincorsi come unico status sociale, di pregiudizi borghesi che nella loro mancanza di fondamento costringono e generano comportamenti e frustrazioni a un indiavolato can can. Perché con la complicità di Francesco De Melis, e della sua partitura musicale, quel titolo spesso diventa senza forzature un vero e proprio musical, che nelle loro «eleganti» quanto fantasiose mises ottocentesche (disegnate da Gianluca Falaschi) i personaggi (e i loro interpreti) cantano, canticchiano e danzano con grande divertimento, loro e del pubblico. Con la chiarezza, ottenuta da certi passi di balletto, che ne mostra la loro sopravvivenza e continuità ancora oggi.

SULLA SCENA costituita da grandi telai mobili di Dario Gessati (quasi gigantografie di certe vecchie specchiere da comò, che un tempo ornavano le case delle nonne), i crucci delle sorelle Bennet (qui ridotte a due), e dei loro genitori per la loro migliore sistemazione coniugale, lambisce e spesso cozza con valori ed esigenze borghesi di quella colorita società. Mostrandone ovviamente debolezze e inadeguatezze, ma con una malcelata simpatia che con loro ci fa soffrire, oltre che divertire. Il tono del romanzo perde forse una parte della sua aura, ma in realtà la chiave della farsa intelligente, oltre a renderlo più prossimo a un pubblico di oggi, riporta, e quasi acuisce, la malinconia della narrazione: la stessa Jane Austen, nonostante la grandezza della sua scrittura, è noto che non riuscì mai a liberarsi della propria modesta appartenenza sociale, la cui «scalata ha invece saputo meravigliosamente raccontare.

ARTURO CIRILLO si conferma capace di veri «stati di grazia», capaci di citare insieme dalla sublime D’Origlia-Palmi al più graffiante e autocritico teatro di oggi. Il racconto letteralmente vola, con una compagnia coesa e coinvolta, dove si riconoscono in particolare l’abilità di Valentina Picello, di Sabrina Scuccimarra (madre svampita quanto determinata nella sistemazione delle figlie), di Rosario Giglio, e di tutti che sarebbero davvero da citare. Un vero «spettacolo delle feste», come usava un tempo, che è una fedele radiografia di meccanismi sociali che continuano a sfidare il tempo.

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