Artisti e modelle, la maison di Yves Saint-Laurent
L’arte è sempre presente nelle creazioni di haute couture di Yves Saint-Laurent. Per la collezione autunno-inverno del 1965 l’artista a cui si ispira è Piet Mondrian. Nell’abito essenziale di jersey di lana, esposto al Centre Pompidou, un tubino lineare senza maniche, le righe nere inquadrano il bianco, il rosso, l’azzurro, il giallo come nel quadro Composition en rouge bleu et blanc II, un olio su tela del 1937. Fin da ragazzo, era nato a Orano, nell’Algeria allora francese, il 1 agosto 1936, ama creare bambole di carta e disegnare vestiti per la madre e per le sorelle Michelle e Brigitte. Fino a diciotto anni vive in una villa che si affaccia sul Mediterraneo, poi si trasferisce a Parigi. Entra nella Camera sindacale dell’alta moda, dove i suoi disegni hanno un grande successo. Michel De Brunoff, l’editore di Vogue francese, lo presenta a Christian Dior. Quando nel 1957 Dior muore, subentra come direttore artistico. Ma tre anni dopo allo scoppio della guerra di indipendenza algerina è costretto ad arruolarsi nell’esercito francese.
Gli bastano pochi giorni per ammalarsi di nervi. Viene ricoverato nell’ospedale militare di Val-de-Grâce a Parigi dove è sottoposto a cure psichiatriche e perfino all’elettroshock. Quando finalmente viene dimesso, riesce ad aprire con il compagno e socio Pierre Bergé la sua casa di moda.
Per festeggiare i suoi sessanta anni di sfilate si sono messi d’accordo ben sei musei: il Centre Pompidou, il Musée d’Art Moderne di Parigi, il Musée du Louvre, il Musée d’Orsay, il Musée National Picasso Paris, il Musée Yves Saint-Laurent Paris, con mostre che si potranno visitare fino al 15 maggio 2022. Gli abiti ispirati a singoli artisti si accompagnano ai quadri che si possono ammirare nei rispettivi musei. «Credo che il lavoro del couturier assomigli molto a quello dell’artista», sostiene Yves. «Mi sento molto vicino a Picasso, Matisse, Mondrian. Influenzato sempre dalla pittura, devo la mia collezione del luglio 1966 a Wesselmann, Roy Lichtenstein. Tutti i miei vestiti erano illuminati da paesaggi, da lune, dal sole. Devo a Poliakoff e Mondrian un rinnovamento e un aggiornamento straordinari. Mi hanno insegnato la purezza e l’equilibrio».
La selezione, pensata come un arcipelago, suggerisce al pubblico di crearsi un proprio percorso da un museo all’altro. Ogni accostamento è stato pensato in stretta collaborazione con i diversi direttori dei musei che partecipano all’omaggio. La scenografia, affidata a Jasmin Oezcebi, si accorda con particolare attenzione alle linee e silhouette disegnate da Yves. Disegni, bozzetti, tessuti, forme per i cappelli, mostrano le diverse tappe del processo creativo, che permettono di interrogarsi sulle idee e i miti del couturier e dell’artista.
Pop Art
Al Centre Pompidou è soprattutto la Pop Art che domina: «Come avrei potuto resistere a questa forma d’arte della mia giovinezza?». Ci accoglie un grande ritratto in bianco e nero di Jeanloup Sieff del 1971, che mostra un giovane Yves nudo, seduto di sbieco su un cuscino con i lunghi capelli biondi, i grandi occhiali, una gamba piegata su cui poggia il braccio sinistro. Un adone dal fascino irresistibile. Non potevano mancare una serie di polaroid con le modelle Naomi, Kate, Violeta, Carla, scattate alla vigilia delle sfilate 1979-2002. Questo tipo di foto che interessano artisti come Robert Mapplethorpe, David Hockney e Andy Warhol non lasciano indifferente Saint-Laurent. Realizzate alla fine della creazione di ciascun modello, erano destinate a fissare gli accessori di un abbigliamento prima della sua presentazione sulla passerella. Su ciascuna è scritto il nome della collezione, il nome della mannequin e il posto che prenderà nella sfilata. Le immagini, esposte al Musée national d’art moderne, acquistano un nuovo valore artistico.
La volpe verde
Nel 1964, Martial Raysse, con La grande odalisque inaugura il made in Japan. Il quadro in acrilico, vetro, fibra sintetica, rappresenta una donna di un verde intenso vista di spalle, il viso rivolto a destra, con un solo occhio che guarda lo spettatore, i capelli nerissimi raccolti sotto un foulard a riquadri rossi, verdi, arancio, bianco ispira al grande sarto un mantello di pelliccia di volpe verde. La linea diritta, le maniche a raglan, senza colletto, è il massimo della semplicità, ma comincia già a delineare l’importanza delle spalle, ben squadrate, che danno alle donne un’aura di potere, come se cominciassero a prendere coscienza delle loro responsabilità. Pezzo centrale della collezione, la giacca rompe con le silhouette e le convenzioni tradizionali. Tanto che la critica s’indigna, mentre il pubblico si appassiona per quello che da allora si chiamerà «retrò».
Per la collezione autunno-inverno 1966 realizza in jersey, per lui la sola materia moderna, degli abiti corti dai colori aciduli con dettagli anatomici, omaggio al pittore pop inglese Tom Wesselmann. Come il vestito nero con una manica rosa da cui parte sempre in rosa una silhouette femminile vista di profilo, con la spalla, il seno, il lato b, le cosce e le gambe fino al piede. Ispirato al quadro The Moon di Gary Hume, membro del gruppo inglese di Young British Artists. Un braccio femminile sorregge un grande fiore giallo, mentre dietro spunta la luna.
Léger
Nel vestito, che richiama il quadro di Fernand Léger La fleur polychrome, della sfilata autunno-inverno 1981, il corpetto è di velluto nero, mentre la lunga gonna di tessuto leggero è arricchita da applicazioni colorate a figure astratte.
«Comincio a lavorare a casa, seduto alla scrivania. Lo faccio da trent’anni. La stanza ha uno specchio, un divano e due librerie dove si trovano i volumi su Braque, Picasso, Juan Gris e molti altri. I miei abiti nascono come masse di colori in movimento più che come forme», confessa Saint-Laurent. Sensibile alle corrispondenze tra le arti, non smette di destreggiarsi tra ritmi e colori, luci e materiali, come al Musée national d’art moderne, che alterna sale monumentali e spazi più intimi.
Matisse e Bonnard
Il percorso prosegue con le collezioni permanenti, omaggi a Henri Matisse e Pierre Bonnard. Per la collezione primavera-estate 2001, immagina una serie di vestiti ispirati alle composizioni di Bonnard, alle sue creazioni dai toni floreali, ricordando i giardini dipinti nel 1930. I suoi abiti evocano anche il reticolo complesso e ininterrotto delle pennellate del pittore. La linea delle gonne, come la scelta dell’organza, creano una sensazione di leggerezza che ricorda la serenità radiosa e le armonie colorate tipiche del pittore. Sono abiti lunghi con la scollatura a V, le maniche che terminano con ruches dai colori arancio oppure con le maniche corte, il corpino rosa sottolineato sulla schiena da una cintura a fiocco su una gonna lilla.
Dufy
Per l’autunno-inverno 1992 si ispira a Raoul Dufy, con vestiti da sera di satin, mentre le lunghe giacche hanno colori bronzo, smeraldo, rosso sole, fucsia, verde assenzio. Come l’allestimento che Dufy ha fatto per la festa dell’elettricità del 1937. Duecentocinquanta pannelli, che gli erano stati commissionati dalla Compagnia parigina di distribuzione dell’elettricità per l’esposizione internazionale delle arti e della tecnica del 1937. Yves Saint-Laurent ha il genio di passare dal piano al volume, dall’estetica della superficie all’estetica del corpo. Non copia. Non trasferisce un’opera su un vestito, non punta sull’illustrazione ma su una nuova costruzione. Considerato dalla stampa come il creatore di una moda colorata, giovane, viva e audace, nella collezione primavera-estate 1966 presenta una blusa, un cappotto, una giacca e un vestito sui toni del verde con effetto ottico di imprecisione come aveva fatto due anni prima Alain Jaquet rifacendo il Dèjuner sur l’herbe di Edouard Manet, dipinto come dietro un retino. Gli abiti si trovano al Musée d’Orsay. Come l’installazione di Lord Snowdon, Yves Saint-Laurent a Deauville, 1980, dove il giovane sarto tiene con le due mani un grande specchio appoggiato a un pavimento coperto da calcinacci vicino a una porta semiaperta.
La recherche
L’ha dichiarato più volte, è innamorato di Proust, di cui legge e rilegge la Recherche. Una passione sottolineata dall’evocazione del Bal Proust, organizzato il 2 dicembre 1971 dal barone e dalla baronessa Guy de Rothschild nel 1971 al castello de Ferrières. Sotto il grande orologio del Musée d’Orsay, sono esposti i vestiti creati da Yves. Formidabile disegnatore, ne abbozza i vestiti. Sontuosi quelli della baronessa Marie-Hélène e di Jane Birkin. Con i corpetti aderenti, le maniche gonfie alle spalle che si fanno aderenti fino al polso, le gonne a grandi godet che si allargano a terra terminando con pizzi. Nell’occasione dell’altro ballo del 23 giugno 1957, organizzato dal barone Alexis de Rédé a l’Hôtel Lambert e chiamato Bal des têtes, immagina le scenografie e le cuffie delle invitate che evocano le ultime cento pagine dell’ultimo volume della Recherche. Gli schizzi realizzati a tempera su carte colorate testimoniano l’entusiasmo del couturier che disegna dei copricapi fatti di fiori montati a piramide, di nastri, di tulle e di paillette. Molto sofisticati, i disegni lasciano presagire la carriera del giovane che ha allora vent’un anni. Nel 1966 annuncia la prima collezione del prêt-à-porter, creando dei prototipi che saranno riprodotti in serie per un pubblico più vasto. Nello stesso anno trasferisce la sua boutique al numero 5 di Avenue Marceau.
Smoking
Contrapposti ai vestiti, nel salone dell’orologio, sono esposti gli smoking. Apparso nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo, lo smoking è diventato l’esempio più iconico dello stile del couturier, che s’ispira al vestiario maschile e per dare alla donna potere e fiducia. La prima versione risale all’autunno-inverno 1966. Proposto come alternativa all’abito da sera, non smette di reinterpretarlo durante i quarant’anni delle sue creazioni. La dialettica incrociata intorno al maschile-femminile evoca ancora una volta il mondo proustiano che si avvale di personaggi dall’identità spesso ambigua e plurale. Fotografo, illustratore, scenografo per il cinema e il teatro, collaboratore di Vogue che gli chiede di fotografare alla maniera di Nadar, Cecil Beaton lo fa in occasione del Bal Proust. Vestita da Saint-Laurent, Hèlène Rochas appare come Odette de Crécy con un decolté adorno di cattleye bianche, mentre Jane Birkin indossa un vestito Belle Époque. «Il volto eterno della moda insegue le sue incessanti mutazioni. Raggiunge così i bassorilievi egiziani, le statue greco-romane, gli affreschi di Pompei, il ritratto di Agnès Sorel di Fouquet, l’aurora di Botticelli, l’oro di Rembrandt, il nero del maestro Franz Hals, i vasi argentati di Vélasquez, i ciottoli madreperla di Watteau, le nebbie dei Majas di Goya, la sontuosità barbara di Delacroix, le pieghe accademiche di Ingres, il romanticismo sensuale di Rossetti, le immagini ovattate di Renoir», così Yves comincia la descrizione della Galerie d’Apollon del Musèe du Louvre.
L’oggetto feticcio
Come non evocare la spilla a cuore che faceva indossare a una delle sue muse, secondo un rituale molto atteso a ogni sfilata? Un cuore realizzato la pima volta nel 1962 per ritornare sistematicamente dal 1979 al 2002, in cui Il giorno del defilé era appeso sul petto della modella preferita della collezione. Oggetto feticcio, il cuore simbolizza la fede, ma nello stesso tempo l’attaccamento e l’amore per la gioielleria francese. All’inizio dell’esposizione campeggia il ritratto del sarto in piedi realizzato nel 1976 del fotografo Jacques-Herni Lartigue. La giacca «Hommage à ma maison», della sfilata primavera-estate 1990, riflette secondo le parole di Yves « il riflesso del sole sul ghiaccio», destinata a chiudere la sfilata come testimonianza d’amore e di riconoscenza nei confronti di tutte le persone che hanno lavorato per tanti anni accanto a lui. Corta in vita, il largo scollo a V adorno di ruches arancio, è incrostata di pietre preziose fino alle lunghe maniche. Un’altra giacca della stessa collezione ha il corpetto adorno di pietre preziose fino alle spalle con piccole ali, mentre le maniche lunghe sono nere. Per l’autunno-inverno 1981, lo stesso modello di giacca corta è chiusa fino al collo con una serie di bottoni.
«Picasso mi ha dato moltissimo. Un anno non riuscivo a inventare la mia collezione. Ero nel panico. Domenica vado a visitare una mostra sui balletti russi e scopro gli abbozzi dei costumi che Picasso aveva fatto per Le tricorne di Serge Diaghilev. Il giorno dopo, ho preso un pezzo di velluto nero, una gonna di velluto blu e ho intrecciato dei pannelli di velluto nel blu della gonna, Tutto il resto è venuto da sè», dice Yves Saint-Laurent. Affascinato da Picasso, gli rende omaggio in diversi momenti della sua carriera. Al Musée National Picasso Paris sono esposti gli abiti dedicati al grande pittore vicino ai quadri a cui si ispirano. La giacca della sfilata autunno-inverno 1979 a doppio petto con bottoni bianchi è di panno di lana con la parte sinistra nera, mentre a destra ha una striscia blu con colletto a punte pronunciate con gli stessi colori, è collocata vicina al ritratto che il pittore ha fatto a Nusch Éluard nel 1937. Il viso rotondo, gli occhi allungati, i capelli a macchia frastagliata verdi da una parte, gialli dall’altra, sono sovrastati da un cappello con una parte a punta e dall’altra a ferro di cavallo. La giacca a doppio petto è tutta un insieme di punte nere, blu e verdi. Nell’estate 1979 prepara la sua collezione tenendo presenti i numerosi quadri con visioni plurime così care al maestro spagnolo come Buste de femme au chapeau rayé del 3 giugno 1939, che mette insieme due profili distinti in una sola faccia. Il vestito della collezione autunno-inverno 1979 è di satin e velluto nero. Il corpino si apre su un inserto rosa in cui appare un viso di donna da naso aguzzo, l’occhio allungato e una piccola bocca semiaperta.
Al Musée Yves Saint-Laurent, il couturier accucciato per terra sfoglia le tavole con i nuovi disegni: «Entro nella collezione come si entra in convento. I primi quindici giorni sono atroci perché uno non sa verso cosa va, l’angoscia domina fino al momento in cui di colpo tutto si chiarisce, ed è la felicità». Per creare le sue collezioni disegna moltissimo. I disegni sono l’impulso creativo di tutti gli ateliers della maison che trasferiscono e confezionano le linee immaginate da Saint-Laurent. Tutta la maison contribuisce alle metamorfosi volute dal couturier: «È la mia maison basata sull’amore, che comprende anche gli operai e i sarti».
Van Gogh
La sartoria d’alta moda è un lavoro collettivo che nasce solo dalla collaborazione tra le persone. In mostra ci sono gli schizzi originali dal 1962 al 2002. Sono esempi di modelli selezionati per il suo ultimo defilé al Centre Pompidou. Ci sono le sagome tagliate in cotone e feltro per una blusa della collezione autunno-inverno 1990. La blusa omaggio a Vincent Van Gogh per la primavera-estate 1988, ricamata con paillettes, pietre preziose e nastri, è adorna di soli e foglie, senza collo, tutta abbottonata sul davanti, ha maniche lunghe diritte fino ai polsi.
Nel 2002, in una conferenza stampa, Saint-Laurent legge una lettera d’addio. Una decisione irrevocabile quella di abbandonare la moda dopo oltre quarant’anni. La maison non viene ceduta, semplicemente cessa di esistere. Con tono commosso, ringrazia tutte le persone che lo hanno aiutato ad affermarsi, i suoi collaboratori e le donne che hanno indossato i suoi vestiti, le celebri e le sconosciute. La sua ultima sfilata del 22 gennaio sarà in gran parte una retrospettiva. Morirà a Parigi il 1 giugno 2008 a settant’uno anni per un tumore al cervello.
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