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Artifacts Trio, il verbo di Chicago

Artifacts Trio, il verbo di ChicagoArtifacts trio

Musica Tappa capitolina per il formidabile trio formato da Nicole Mitchell (flauto ed elettronica), Tomeka Reid (violoncello) e Mike Reed (batteria)

Pubblicato circa 12 ore faEdizione del 16 ottobre 2024

Dentro un concerto dell’Artifacts Trio c’è tutta la musica di Chicago, o meglio tutto il jazz generato dall’A.A.C.M. (Association for the Advancement of Creative Musicians), nata nel 1965, ancora viva e più che vegeta. Se ne sono ben resi conto gli spettatori dell’unico recital italiano (in un tour europeo che prevede tappe in Gran Bretagna, Francia, Germania e Scandinavia), quello del 14 ottobre alla capitolina Casa del Jazz con Nicole Mitchell (flauto ed elettronica), Tomeka Reid (violoncello) e Mike Reed (batteria). La filiazione dall’A.A.C.M. viene dichiarata proprio dal batterista sul palco romano: “I suoi musicisti – tra cui Roscoe Mitchell, Anthony Braxton, Henry Threadgill, Muhal Richard Abrams, Joseph Jarman – sono stati per noi degli importanti mentori e hanno rappresentato influenze fondamentali”. Basta, comunque, ascoltare a mente aperta il recital dell’Artifacts Trio (il loro primo album risale al 2015, l’ultimo è del 2022, … And Then There’s This ) per sentire le assonanze e gli echi dell’idea di Great Black Music, avvertire l’audace ma mai fine a se stesso sperimentalismo formale e timbrico come l’attenzione – in questo caso parca – per l’elettronica. I tre hanno creato, con grande concentrazione ma anche palpabile gioia e comunicativa, una musica che ha saputo essere ‘concettuale’ e rischiosa quanto materica e terrosa, intrisa di spirito del blues. In essa sezioni scritte ed ampie sequenze improvvisate si fondono con naturalezza.

ANCHE  in questo caso è il loquace batterista-percussionista a fornire, se ce ne fosse bisogno, una chiave di lettura. Il recital, spiega Reed con stile affabulatorio, è come un album in vinile: c’è il lato A con i nostri brani e quello B con la musica dei maestri chicagoani. In repertorio ci sono, in effetti, Reflections della flautista e Pleasure Palace del drummer, come Compositions 23b di Anthony Braxton e due brani del batterista-compositore Steve McCall (nel trio Air con Threadgill): B.K. e I’ll Be Right Here Waiting, suturati da una sequenza originale, costituiscono una sorta di suite mentre il bis è una rilettura da Roscoe Mitchell. Ciascuno dei tre jazzisti è, peraltro, uno straordinario creatore di suoni e su tutti eccelle Nicole Mitchell (è stata presidente dell’A.A.C.M.) che genera mille timbri e “voci” con il suo flauto, usato persino in respirazione circolare. Tomeka Reid sa essere solido riferimento come solista fantasiosa, al pari di Mike Reed il cui “batterismo percussionistico” ha infinite sfumature e colori. Ma, nel più puro spirito chicagoano, quel che conta è l’insieme, il prodotto sonoro collettivo che è frutto – ha sottolineato Reed – anche del pubblico e della sua partecipazione: “Perché voi fate parte dello show”. Il “verbo” di Chicago continua a diffondersi.

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