Sui banchi della camera va in scena la prima volta della sinistra unita. Deputati di Mdp e Sinistra Italiana – molti eletti nelle liste del Pd – prendono la parola per chiedere di ripristinare l’articolo 18 nella versione proposta dalla Carta dei diritti universali della Cgil che lo estende alle imprese fino a 5 dipendenti.
SIAMO ALLA DISCUSSIONE delle linee generali della proposta di legge (pdl) a prima firma del capogruppo Mdp Francesco Laforgia fusa con quella presentata da Giorgio Airaudo (Si) ieri relatore di minoranza del provvedimento. I banchi dell’opposizione di sinistra sono gremiti. Al loro fianco invece c’è il deserto. Il Pd è rappresentato solo dalla relatrice Titti Di Salvo (eletta in Sel e ora renziana di ferro) e da alcuni deputati della minoranza orlandiana. Ancora più voluta e vergognosa – tanto da essere stigmatizzata perfino dal presidente di turno dell’aula Roberto Giachetti – l’assenza del governo. A rappresentarlo c’è la sottosegretaria alla Cultura Dorina Bianchi, non propriamente esperta in materia di lavoro.
Fa tutto parte della strategia del Pd: tenere bassa la discussione su un tema scottante. Tanto da proporre il ritorno del provvedimento in commissione Lavoro.
PER LAFORGIA QUESTA È la dimostrazione che il Pd non vuole cambiare strada, come invece sembra promettere il pontiere Piero Fassino. «La reintroduzione dell’articolo 18 sui licenziamenti disciplinari e collettivi – ha dichiarato Laforgia – non sarebbe solo un atto di civiltà in un mercato del lavoro sempre più frantumato e precario ma sarebbe un reale terreno di confronto molto di più delle chiacchiere sulle coalizioni».
AD INTERVENIRE IN AULA sono stati moltissimi deputati di Mdp e Sinistra Italia. A partire da coloro che con l’abrogazione dell’articolo 18 hanno deciso – per primi – di lasciare il Pd in cui erano stati eletti. Per Stefano Fassina
PIPPO CIVATI HA SMENTITO che «l’articolo 18 è cosa vecchia perché risale agli anni Settanta del secolo scorso. Non averlo ci riporta più indietro, però, agli anni Settanta del secolo ancora prima, di quell’Ottocento in cui nacquero queste battaglie e la richiesta di un sistema in cui nessuno approfitti dell’altro. E ci sia una garanzia di giustizia e dignità», ha concluso.
PER STEFANO FASSINA la cancellazione dell’articolo 18 ha una motivazione: «Non potendo più svalutare la moneta in Europa si svaluta il lavoro, abbassando le retribuzioni. Il governo Renzi ha cavalcato ideologicamente questo principio, sposando le ragioni della parte più forte del mercato del lavoro», ha spiegato.
SILENTI INVECE I DEPUTATI di Campo progressista – che fanno ancora parte del gruppo di Mpd – in evidente difficoltà ad appoggiare una proposta che il Pd non appoggia proprio nei giorni in cui Pisapia riapre all’alleanza.
Da parte del Pd l’imbarazzo è palpabile. Tocca a Marco Miccoli e Marialuisa Gnecchi prenderla molto alla lontana per arrivare a spiegare che il vero problema è «il costo dei licenziamenti, che va aumentato», «come già previsto in legge di bilancio, ma faremo ancora di più», lasciando «l’analisi del Jobs act ad un dibattito più ampio e approfondito», «non ad una proposta di legge a fine legislatura».
A SMONTARE L’IDEA che bastino le tasse sui licenziamenti ci ha pensato Giorgio Airaudo: «Non c’è nessun risarcimento economico che possa restituire un posto di lavoro stabile. Il lavoro e il diritto al reintegro dopo un ingiusto licenziamento non sono un prezzo, e il lavoro non è una merce – aggiunge Airaudo -. La difesa del lavoro è importante ed è una priorità per noi e per il Paese. Il Pd alla difesa dei posti di lavoro invece preferisce i risarcimenti», ha concluso.
IL VOTO SULLA PROPOSTA di ritorno in aula è calendarizzato per oggi pomeriggio ma dovrebbe slittare a domani mattina.
Un voto che appare scontato anche perché il M5s si asterrà. Pur chiedendo di «discutere in aula un tema importante», i grillini infatti sono sì favorevoli al ripristino dell’articolo 18, ma solo per le imprese sopra i 15 dipendenti: «Mettetevi dei panni di un lavoratore reintegrato che torna a lavorare come sesto, magari a fianco del proprio datore: ma con che spirito psicologico può farlo?», motiva non senza ambiguità il deputato Davide Tripiedi. L’astensione dunque viene motivata per «non entrare nelle diatribe politiche della sinistra».