Arthur Gershwin, «lo sconosciuto»
Storie/È il fratello «dimenticato», autore di musical e canzoni. Il rapporto con George, Ira e Frances Il suo nome è legato a un classico come «Invitation to the Blues». Secondo la sorella «il suo ritmo non era eccezionale»
Storie/È il fratello «dimenticato», autore di musical e canzoni. Il rapporto con George, Ira e Frances Il suo nome è legato a un classico come «Invitation to the Blues». Secondo la sorella «il suo ritmo non era eccezionale»
Sono trascorsi ottant’anni da quando la firma Gershwin appare in coda allo spartito del musical A Lady Says Yes che va in scena al Broadhurst Theatre di New York tra il 10 gennaio e il 25 marzo 1945, con ben 87 repliche e con una splendida Carole Landis protagonista assoluta: una strana commedia, ambientata tra Venezia, Washington e la Cina dal 1545 al 1945, che vede Fred Spielman coautore delle musiche, Clayton Ashley librettista e Stanley Adams e Bud Burton partecipi alla stesura dei testi delle singole canzoni.
L’INTERROGATIVO
Ma è davvero un lavoro gershwiniano, sapendo che il grande George muore ben otto anni prima? Un’opera postuma? Incompiuta? Apocrifa? Nient’affatto! Un lavoro nuovo di Arthur Gershwin (1900-1981), il più giovane – e pressoché sconosciuto in Italia – dei quattro fratelli artisti, che nascono da poveri immigrati.
E di certo quando il padre, ucraino, Jakov Gershowitz conosce la futura moglie russa Rose Brukin a San Pietroburgo non immagina assolutamente, una volta giunti a New York, il 14 agosto 1890, quello che sta per avvenire dal punto di vista artistico nella famiglia e nella storia della musica.
Di George (1898-1937) si sa tutto o quasi, come del primogenito Ira (1896-1983), fondamentale paroliere sia per il fratello in vita sia per altri noti compositori da Harold Arlen a Jerome Kern fino al tedesco Kurt Weill fuggito negli Usa durante il nazismo. Ira, peraltro, si firma spesso «Arthur Francis» recando, all’epoca, forse, un danno indiretto alla carriera del più giovane dei quattro, che non a caso risulta l’unico a non occuparsi di musica a tempo pieno, guadagnandosi il pane e il companatico quale agente di cambio; un danno, per assonanza onomastica, forse anche alla sorella Frances (1906-1999), prima in assoluto della famiglia a esibirsi al canto fin da piccola (ottenendo come premio dieci dollari, per l’epoca una bella cifra), futura moglie di Leopold Godowsky Jr., co-inventore delle foto a colori Kodachrome, anche primo violinista delle orchestre sinfoniche di New York e Los Angeles; dedicatasi alla pittura, Frances tornerà a stupire in là negli anni come vocalist nell’album For George and Ira (1973) ottenendo l’apprezzamento del fratello Arthur che, pochi mesi prima, racconterà in un’intervista a Robert Kimball e a Alfred Simon che da bambino era lui ad accompagnarsi più spesso a George anziché Ira, più vicino per età a quest’ultimo.
Frances, dal canto suo, di Arthur a posteriori rammenta invece pregi e difetti come quando afferma che da sempre il fratellino suona a orecchio ma «il suo ritmo non era eccezionale» e per tale motivo, forse non a torto (visto il dinamismo degli altri familiari), lo prende in giro, benché ne apprezzi le potenziali doti attoriali: «Era davvero molto divertente, era quello spiritoso della famiglia… Un comico naturale… Quando (gli altri fratelli) lo presentavano, diceva, ’Sì, sono lo sconosciuto Gershwin’».
Tuttavia proprio George ne riconosce (in parte) il talento musicale quando, in una lettera alla madre – datata 19 maggio 1937, a meno di due mesi dalla scomparsa – da Beverly Hills scrive: «Come sta il fratello Arthur in questi giorni? Sono felice di sapere che sta scrivendo molti brani e spero che possa trovare un mercato per alcuni di essi». Del resto i legami tra Arthur e George, per quanto brevi, risultano profondi e duraturi nonostante la scomparsa prematura del grande compositore, e non a caso Arthur chiamerà il suo unico discendente Marc Arthur, futuro amministratore del George Gershwin Trust, assieme ai tre figli Adam, Todd e Alex.
IN CALIFORNIA
Una testimonianza del solido rapporto tra i due fratelli la fornirà la prima moglie di Arthur, Judy Lane (1917-1923), cantante nella Xavier Cugat Orchestra durante gli anni Quaranta, poco prima che le subentri l’avvenente Abbe Lane, amante e poi moglie del bandleader spagnolo (statunitense d’adozione). Per un breve periodo si crede che le due siano sorelle, salvo scoprire che Abbe (classe 1932), sebbene regina del cha cha cha, è newyorchese e all’anagrafe è registrata come Abigail Francine Lassman.
Judy, che divorzia da Arthur nel 1958, ha, infatti, il merito di una curiosa scoperta: poco prima della separazione, mentre sta rovistando nel ripostiglio del loro appartamento in un condominio di Central Park (appartenuto a mamma Rose) trova, infatti, diversi spartiti, che George lascia lì, quando decide, nel 1936, di trasferirsi definitivamente in California: tra le carte spunta una pagina autografa del melodramma Porgy and Bess e soprattutto l’opera omnia di Charles Hambitzer (1878-1918) che di George è il «maestro», nel senso di compositore più influente, ma del quale Arthur conserva un vaghissimo ricordo.
Tornando a quest’ultimo, nell’arco di un ventennio scrive anche un centinaio di brani che fanno dire al fratello Ira: «È tutto molto buono se contestualizzato nello stile operettistico alla Sigmund Romberg». Suona come una frase ambigua, dato che il compositore austroungarico citato è il tipico esempio di musica anacronistica, che fra l’altro ben s’adatta a perpetuarsi in alcune colonne sonore hollywoodiane.
D’altronde nessuno rivela quanto George possa influenzare, attraverso consigli personali, l’arte nascente di un giovanissimo Arthur, il quale risulta un violinista mancato, nonostante diverse lezioni: mal sopportava – stando sempre alle parole di Ira – di dover stare in piedi a suonare mentre George può improvvisare comodamente seduto al pianoforte. Sta di fatto, però, che qualche song resta nell’immaginario popolare americano da After All these Years a Slowly but Surely, da No Love Blues a Blue Underneath a Yellow Moon, benché i maggiori successi siano altri due. Il primo è senza dubbio Invitation to the Blues che ha una storia legata a tre momenti topici: la registrazione iniziale nell’agosto 1944 da parte della vocalist Ella Mae Morse, l’astro nascente della neonata etichetta Capitol (quella di Frank Sinatra e Nat King Cole per intendersi). La ripresa nel 1957 da parte della cantante Julie London tra jazz, lounge, easy listening, nell’album About the Blues, prodotto dal collega Bobby Troup e salito al quindicesimo posto della hit parade, anche grazie all’accompagnamento della celebre Orchestra di Russ Garcia (pure nei panni dell’arrangiatore). E infine, nel 1982, l’utilizzo nella colonna sonora del film Tootsie (1982), la fortunata commedia sentimentale di Sydney Pollack con Dustin Hoffman: Invitation to the Blues – riplasmato da Dave Grusin, compositore e jazzman d’estrazione fusion che cura l’intero commento musicale – non figura, però, nell’album che accompagna il disco, bisognerà aspettare la versione in cd giapponese (1999) e americana (2010).
Il secondo brano a cui fare riferimento è senza dubbio la title track del musical di cui si diceva all’inizio: A Lady Says Yes. Il pezzo resterà per sempre legato alla tragica vicenda dell’attrice/cantante: circa un anno prima di debuttare in teatro la bellissima Carole Landis vuole contribuire di persona allo sforzo bellico antifascista, esibendosi in tournée sul fronte del Sud Pacifico con l’attore comico Jack Benny, proseguendo gli spettacoli a ritmo instancabile, tanto che più volte si ammala gravemente e rischia di morire di malaria.
INSTANT BOOK
Tra impegno e solarità glamour, è consacrata tra le «ragazze» più amate dai soldati, traducendo l’esperienza in articoli di giornale, in un libro e in un film (stesso titolo, Four jills in a jeep, 1944). Al termine del conflitto, nonostante il successo del musical di Arthur e il ruolo di protagonista al cinema con Uno scandalo a Parigi di Douglas Sirk, la carriera stenta a riprendere, compromettendo la fragilità della soubrette, già provata dai matrimoni falliti e dalle ipocrisie hollywwodiane.
Nel 1948 legatasi sentimentalmente all’attore Rex Harrison (all’epoca sposato con la diva Lilli Palmer), Carole vive una relazione fra turbe e difficoltà acuite da un accanimento mediatico capace di spingerla lentamente all’autodistruzione; e dopo il rifiuto di Harrison di divorziare, Landis il 5 luglio 1948, si toglie la vita con una overdose di Seconal nella propria abitazione a Pacific Palisades.
Arthur Gershwin ne rimane così profondamente sconvolto al punto da non voler più scrivere un musical diradando l’attività di songwriter, che all’epoca, al di là delle perplessità di fratelli e sorelle, in molti ritengono promettente, ma che ancor oggi è in attesa di una piena rivalutazione.
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