Il 2023 si è aperto all’insegna della «pittora» Artemisia Gentileschi, con la mostra di Napoli che ripercorreva le tappe del suo soggiorno partenopeo e si chiude interrogando ancora una volta la sua figura, a Genova, nelle sale di Palazzo Ducale. Eppure non è semplice tenere al proprio fianco questa artista: il rischio è sempre quello del deragliamento. Un deragliamento accompagnato dalla potenza stessa del suo immaginario trasmesso dalle scelte iconografiche – e dalla originale trattazione dei soggetti –, e pure dal bisogno (nei posteri) di raccontarne il temperamento volitivo, data l’epoca che l’accolse, così avara con la creatività femminile.

A VOLTE, LA BIOGRAFIA di Artemisia (su cui Anna Banti imbastì il romanzo della sua riscoperta e riscossa: nel ’44 la prima stesura andò perduta nei bombardamenti tedeschi di Firenze, poi il libro definitivo uscì nel 1947), oscura la magistrale sapienza del pennello che le permise di essere la prima donna caravaggesca ammessa all’Accademia delle arti del disegno di Firenze. Le sue erano, infatti, qualità pittoriche di prim’ordine, per colori e impasto, agli esordi esercitate sulla strada segnata dal padre Orazio, poi cesellate in solitudine, come scriveva Roberto Longhi nel 1916 (il saggio è stato riproposto da Abscondita).
Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione è il titolo scelto per tornare sulle orme della sua arte seicentesca, nella mostra a cura di Costantino D’Orazio (con la collaborazione di Anna Orlando, visitabile fino al 1 aprile 2024, catalogo Skira). Spartita da due dipinti simbolici come Susanna e i vecchioni (le due versioni sono le «quinte teatrali» che inaugurano il percorso), è divisa in sezioni che inanellano soprattutto storie: l’apprendistato presso il padre, la cesura dello stupro del suo maestro di prospettiva Agostino Tassi (campeggia la riproduzione virtuale del casino delle Muse al quale lavorò insieme a Orazio Gentileschi), il processo, gli spostamenti fra Firenze Londra Napoli fino alla morte.
La rassegna celebra anche Genova come meta famigliare. Lo zio Aurelio Lomi, pittore, vi aveva vissuto per circa sette anni a cavallo tra Cinque e Seicento, mentre suo padre Orazio Lomi Gentileschi era stato chiamato in città da una delle più importanti famiglie, i Sauli. Ma nessuna fonte riferisce di una Artemisia che raggiunse il padre e probabilmente lei mai vi approdò.

NELLE SALE SI PROMUOVE un confronto con altre pittrici seppur di secoli diversi e c’è un affollarsi delle ricorrenti eroine gentilesche: Lucrezia, Cleopatra e, naturalmente, Giuditta, Dalila. Protagoniste non per vendetta o in risposta al principio violento di un «maschile», ma per riconquistata autostima, come sostiene Griselda Pollock. Non donne soltanto minacciate ma consapevoli attrici della propria vita. Stride dunque il set immersivo che spettacolarizza la «stanza dello stupro», con il letto che vira al rosso e la voce fuori campo della testimonianza, inchiodando, ancora una volta, Artemisia Gentileschi a quell’evento, nonostante la sua raggiunta fama di artista, in patria e in Europa (era senz’altro sufficiente esporre il prezioso libro degli atti del processo).
A Palazzo Ducale si potrà vedere l’Inclinazione appena restaurata, dipinto solitamente posto sul soffitto di uno dei saloni di Casa Buonarroti a Firenze. Infine, la mostra genovese mette in campo una serie di proposte, con le attribuzioni dello storico dell’arte Riccardo Lattuada.