Arte e politica, un incontro oltre il contenuto
Oscar La morale dell’ottantanovesimo Academy Award? Non quella suggerita da qualcuno (tra cui il critico di Variety, Owen Gleiberman), lunedì mattina, o promossa nei mesi scorsi dalla rispettata Anne Thompson, che […]
Oscar La morale dell’ottantanovesimo Academy Award? Non quella suggerita da qualcuno (tra cui il critico di Variety, Owen Gleiberman), lunedì mattina, o promossa nei mesi scorsi dalla rispettata Anne Thompson, che […]
La morale dell’ottantanovesimo Academy Award? Non quella suggerita da qualcuno (tra cui il critico di Variety, Owen Gleiberman), lunedì mattina, o promossa nei mesi scorsi dalla rispettata Anne Thompson, che vede il trionfo del piccolo film coraggioso contro il «candidato dell’establishment».
O, peggio ancora, il riscatto del cinema delle realtà importanti contro quello di evasione. La cerimonia dell’Oscar 2017 ha avuto un happy ending, non per via della vittoria di un film sull’altro ma, innanzitutto, per la grazia e il rispetto reciproco con cui gli interessati hanno gestito un Helzapoppin televisivo già mitico, su un palco in cui confluivano, coerentemente, il cinema indipendente contemporaneo e la grande storia di
Hollywood, incarnata da Beatty e Dunaway proprio nei suoi aspetti più avventurosi e fuori legge. Arte e politica sono stati (più del solito) il soggetto sottinteso della serata. E, proprio per quello, dedurre che la love story hollywoodiana tra un aspirante jazzista e un’aspirante attrice costituisca di per sé una premessa «inferiore» rispetto al coming of age di un ragazzino gay afroamericano nei project di Miami è non solo ottuso, ma sinistro.
Specialmente oggi. Questa banale lettura contenutistica, che purtroppo spesso pesa proprio sul cinema, non tiene conto per esempio che, oltre alla sfida creativa in un genere raramente praticato fuori dagli studios, il film di Chazelle, nel suo gioco tra vita e cinema, porta in sé una certa durezza. E che quello di Jenkins, in tutta la gravitas del suo soggetto, ha degli aspetti edulcorati, accomodanti, persino fastidiosi.
Alla ricerca di redenzione dopo l’imbarazzo, nelle nomination dell’anno scorso, di #OscarSoWhite, l’Academy ha corretto il tiro con successo, arrivando alla finishing line con un numero record di nomination per afroamericani, in tutte le categorie. Il palmarès – giusto e/o ingiusto, come sempre – ne ha premiati alcuni, altri no.
Allo stesso modo, la vittoria di Farhadi e dei cortometraggio sui caschi bianchi siriani forse non sarebbero state tali senza il bando musulmano di Trump. Libertà, curiosità, creatività, apertura alle differenze, insofferenza nei confronti delle ingiustizie sono valori da difendere attraverso il cinema. Ma è bello respirarle in un film, sentirle nella sua texture, nella sua ricerca formale, nei suoi guizzi. Non solo sulla carta.
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