La delibera sui vitalizi degli ex deputati è pronta. Il presidente della Camera Fico l’ha presentata ieri mattina all’ufficio di presidenza di Montecitorio che la voterà tra il 9 e il 13 luglio con una settimana di tempo, fino a giovedì prossimo, per gli emendamenti. Senza modifiche sostanziali, secondo Fico, la «riforma» dei vitalizi porterà a un risparmio di circa 40 milioni. Un totale esiguo, non commisurato al clamore che M5S, ma in precedenza anche il Pd, ha sollevato intorno a una vicenda di carattere solo simbolico. La cifra sbandierata da Fico, inoltre, è probabilmente esagerata: le analisi tecniche dello scorso aprile, sulla quale si è basato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Fraccaro che è il vero autore della proposta, non superavano i 20 milioni e anzi erano al di sotto di quella somma in entrambe le simulazioni presentate.

La nuova norma, salvo modifiche, prevede un vitalizio minimo di 980 euro per i deputati con una sola legislatura alle spalle. Salendo si arriva a un minimo di 1.470 euro per i parlamentari di più lungo corso, quelli che subiranno una decurtazione di oltre il 50% mentre per quelli che hanno quattro legislature e oltre il conto si fermerà al prossimo 31 ottobre. La platea interessata è di 1338 ex deputati sui 1405 che percepiscono il vitalizio. Ma al conto dovranno essere aggiunti i senatori. La delibera presentata ieri riguarda infatti solo i deputati. Al Senato le cose potrebbero essere meno facili. La presidente Casellati è infatti sul sentiero di guerra e auspica «soluzioni condivise»: «Significa incidere sullo status di persone che oggi possono avere anche un’età rilevante e che si trovano improvvisamente con uno stipendio magari inferiore al reddito di cittadinanza», dice da Washington, senza contare «qualche perplessità sul fatto di poter incidere sui diritti acquisiti».

Il taglio si deve al ricalcolo dei vitalizi passandoli dal sistema retributivo a quello contributivo. Il contributivo è legge già dal 2012 e la riforma riguarda quindi solo la retroattività. E’ il principale scoglio che attende la bandiera scelta dai 5S come punta di lancia della loro propaganda. La retroattività è infatti a forte rischio di incostituzionalità, come gli stessi tecnici consultati prima di varare il provvedimento hanno chiarito. Il pericolo, che era ben presente anche agli esponenti del Pd che nella scorsa legislatura sostenevano la proposta firmata da Richetti, è quello che, una volta introdotta a furor di popolo la retroattività per i parlamentari, venga poi estesa a altre categorie quando ci sarà bisogno di fare cassa.

La retroattività è infatti impugnata dall’Associazione degli ex parlamentari il cui presidente, Antonello Falomi, annuncia una quantità di ricorsi forse addirittura una class action. Nelle analisi commissionate nei lavori preparatori era stato chiarito che l’Ufficio di presidenza non potrà comunque essere accusato di violazione della Costituzione. Gli ex parlamentari mirano però a intentare cause, con adeguate richieste di rimborso, di fronte ai tribunali civili e al Tar: a loro parere, l’Ufficio di presidenza agisce qui come organo amministrativo e non politico. E’ pertanto passibile di cause civili e, in caso di condanna, di rimborso a spese di tutti i suoi componenti.

La minaccia aiuta però i 5S almeno sul piano della propaganda. «Questi non sono diritti acquisiti ma privilegi rubati. I ricorsi sono uno schiaffo alla miseria», tuona Di Maio. Il Pd, dopo aver sostenuto la proposta Richetti, non può certo schierarsi contro la delibera. Molto più drastica Fi, con la vicepresidente della Camera Carfagna: «Sì all’eliminazione di un privilegio, no alla rapina di Stato contro vecchiette vedove».