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Arrivano i sottosegretari. Gabrielli ai Servizi, Editoria a Fi

Arrivano i sottosegretari. Gabrielli ai Servizi, Editoria a Fi

Governo Sei posti al Pd, undici ai 5 Stelle, ben nove alla Lega che torna agli Interni con Molteni

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 25 febbraio 2021

Come negli usi peggiori di tutte le repubbliche la rissa scoppia sulle «poltrone», quelle che vengono spesso chiamate in causa a sproposito ma che qualche volta, come in questo caso, sono proprio solo poltrone. Il cdm che avrebbe dovuto chiudere l’incresciosa vicenda dei sottosegretari è convocato alle 17, slitta alle 18 perché l’accordo latita.

Poi inizia, i litigi partono in sincronia, la riunione viene sospesa alle 20. L’ostacolo non fa certo piacere a Draghi, che aveva insistito con tono ultimativo per chiudere entro oggi. Un’ora dopo la situazione si sblocca grazie alla sostituzione del forzista Mulè, delegato all’Editoria ma bocciato dal veto 5S, con il compagno di partito Giuseppe Moles. I sottosegretari alla fine sono 39, inclusi sei viceministri, rispetto ai 42 uscenti. Le donne sono 19, i maschi 20. Resta in sospeso la delega allo Sport.

L’ostacolo non è stata solo l’Editoria. Il dramma sono le quote. Il Pd ha 6 sottosegretari, i 5S 11, tra cui la viceministra rientrante all’Economia Castelli e Sibilia, in bilico sino all’ultimo. Cancellato invece Buffagni, nome di primissimo piano nella gerarchia dei 5S. Ma sin qui passi: il Movimento ne aveva 40, è il partito di maggioranza relativa almeno in parlamento, è stato salassato e ha pagato con una scissione proprio la penuria di ministeri. La quota alta ci può stare. Ma la Lega di sottosegretari ne ha ben 9, incluso Centinaio all’Agricoltura nonostante le proteste dei 5S, ed è qui che il Pd esplode.

Lo schiaffone è sonoro, tanto più che per far spazio alle donne dal gruppetto sono rimasti fuori i pezzi da novanta: Misiani all’Economia, Mauri agli Interni. Il Nazareno non si consola neppure con il ritorno di Amendola, ex ministro agli Affari europei con delega agli stessi. Merito di Mattarella, che lo ha voluto in segno di continuità ma non basta a lenire la ferita.

Anche perché un già tartassato Zingaretti ne esce tanto per cambiare male e peggio perché ha insistito per mettere nella pattuglia, con le confermate Ascani, Malpezzi e Sereni e con la new entry Sartore, destinata all’ambita Economia e di stretta osservanza zingarettiana anche Assuntella Messina, corrente del pugliese Emiliano. Una decisione che pochi tra i suoi apprezzano.

Se il Pd piange la Lega ride e si affretta a far filtrare la notizia dei suoi 9 posti molto prima che la lista sia definitiva. Un terzo della pattuglia è al femminile e Salvini può vantare senza dubbio un buon risultato, anche se meno brillante di quanto non appaia. Entra all’Economia e conquista una delle postazioni che considerava fondamentale, il Viminale. Resta però fuori dalla Salute, dove è confermato il 5S Sileri ma non la Pd Zampa.

Non che sia davvero solo questione di fette più o meno larghe di torta. Qualche problema sui nomi c’è stato e anche grosso. In particolare quello che ha riguardato una delle due nomine davvero pesanti: la delega ai Servizi e l’Editoria. Nessun problema sui Servizi, che andranno all’ex capo della polizia Gabrielli mettendo così fine alla polemica che da giorni portano avanti le vedove di Conte, in particolare gli onnipresenti televisivamente parlando redattori del Fatto che si chiedevano perché nessuno polemizzasse con la mancata delega ai Servizi dopo aver tanto strepitato contro l’ex premier.

Sull’Editoria invece fuoco e fiamme finché la soluzione Moles sblocca la situazione. Sacrificata Paola Binetti, entra lo stratega dell’operazione Responsabili, Bruno Tabacci e con una delega di primissimo piano: il coordinamento della politica economica. L’unico a uscire bene dalla disfatta da lui stesso guidata.

Nessun problema per gli altri partiti. Fi ha 6 posti e i maschi si prendono una rivincita sulle ministre lasciando posto solo a Deborah Bergamini. Mentre Iv conferma la delegazione uscente, riporta Bellanova e Scalfarotto. LeU ha un solo posto disponibile ma importante, l’Economia e aveva del resto una sola candidata: Cecilia Guerra. La partita si è conclusa, in definitiva, come voleva Draghi.

La folla sgomitante c’è stata tutta. Ma alla fine il disegno somiglia da vicino a quello preferito dal premier.

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