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Arriva McCain e Sofia obbedisce. Bloccato il South Stream

Arriva McCain e Sofia obbedisce. Bloccato il South StreamIl presidente bulgaro e i tre senatori americani – Reuters

Bulgaria Sospesa la realizzazione della pipeline che dovrebbe portare il gas russo in Europa

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 10 giugno 2014

La Bulgaria ha sospeso la realizzazione, sul suo territorio, di South Stream. È la pipeline, voluta da Mosca, che trasporterà il gas russo nell’Europa occidentale passando dal fondale del Mar Nero, risalendo i Balcani e terminando la corsa nei depositi alle porte di Vienna. South Stream è un progetto ambizioso e costoso che nelle intenzioni del Cremlino punta a bypassare l’Ucraina. L’ex repubblica sovietica è la storica cinghia di trasmissione tra i giacimenti siberiani e i mercati comunitari. Putin non la reputa affidabile e anche gli europei, bisognosi di forniture sicure, non si sono di certo opposti a South Stream.

L’esplosione della crisi ucraina, con il laceramento conseguente delle relazioni tra Mosca e il blocco occidentale, ha cambiato il segno delle cose. South Stream, da parte della soluzione all’approvvigionamento europeo, è divenuto parte del problema. Bruxelles ha cercato, da qualche tempo a questa parte, di bloccare l’iniziativa energetica dei russi in risposta alla politica putiniana sull’Ucraina, con la giustificazione – tuttavia vera, concreta – che la dipendenza dalla Russia va alleggerita.

La decisione del governo di Sofia, arrivata domenica, è legata a questo scenario burrascoso e alle pressioni che la commissione europea e gli Stati uniti, intervenuti direttamente in questa vicenda, hanno operato affinché South Stream fosse fermato. Gli americani hanno recriminato sulla partecipazione di Stroytransgaz nel consorzio incaricato dei lavori. Si tratta della società controllata dall’oligarca Gennadi Timchenko, colpito dalle sanzioni alla Russia vergate dalla Casa Bianca.

È politicamente inopportuno che Sofia faccia affari con questo personaggio, ha fatto sapere nei giorni scorsi l’ambasciata americana in Bulgaria. Messaggio sicuramente reiterato dai tre senatori americani, uno democratico e due repubblicani (tra questi John McCain), giunto a Sofia nel fine settimana. L’annuncio dell’interruzione dei lavori da parte del governo bulgaro è giunta a stretto giro di posta dalla loro sortita. Non stupisce. Meraviglia invece che questa decisione, molto sensibile, sia stata presa da un esecutivo con le ore contate.

Il partito della minoranza turca ha manifestato l’intenzione di rompere l’alleanza con il primo ministro socialista Plamen Oresharski (martellato dalle lunghe proteste popolari dei mesi scorsi), andando al voto anticipato. Sergei Stanishev, capo del Partito socialista bulgaro e presidente dei socialisti europei, ha aperto a questa prospettiva.
Quanto all’Europa, la leva con cui ha perseguito i suoi scopi politici ha una facciata legale.

Nel senso che è stata contestata la procedura di affidamento dei lavori, andati a sole aziende bulgare e russe, tra l’altro in modo opaco. Sofia rischia di pagare a caro prezzo queste leggerezze. South Stream, benché ne accentui la dipendenza dalla Russia, innalza infatti il tasso di sicurezza energetica del paese. La partita, in ogni caso, non è chiusa. Il pasticcio bulgaro su South Stream, che ha portato Belgrado a manifestare perplessità sull’eventualità di proseguire con la costruzione del suo tratto di gasdotto, può non essere definitivo. Per due motivi. Il primo è che tanti pesi massimi europei sono coinvolti in questo progetto.

Il ramo offshore, quello che transita dal Mar Nero, è partecipato da corazzate quali Eni (20%), la francese Edf (15%) e la tedesca Wintershall (15%). Senza contare che Italia e Germania hanno altri robusti interessi in ballo: Saipem garantirà la posa delle condotte nel Mar Nero, mentre i tedeschi di Europipe assembleranno i tubi terrestri del gasdotto. Insomma, c’è da immaginare che Roma, Berlino, Parigi e magari anche Vienna siano infastidite dalle mosse della Commissione e della Casa Bianca. Lo sblocco potrebbe arrivare con la riapertura degli appalti in Bulgaria. Ma tutto questo – ecco il secondo motivo – si vincola alle trattative in corso tra Russia e Ucraina sul gas. Mosca vuole che Kiev estingua il debito, pena la chiusura dei rubinetti; Kiev pretende che Mosca abbassi la tariffa, più salata di quelle pagate a Gazprom dai paesi comunitari.

Questo negoziato, ripreso ieri a Bruxelles, s’interseca a sua volta con la ricerca di un’intesa, tra Putin e il nuovo presidente ucraino, Petro Poroshenko, che ponga fine alla guerra civile in corso nelle regioni orientali dell’ex repubblica sovietica. Il quadro è quindi estremamente complesso. Certo è che il gas, se mai fosse necessario chiarirlo, è uno strumento affilatissimo di questo conflitto.

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