Dopo avere temuto la recessione ieri la Commissione ha annunciato la primavera. Nelle previsioni economiche ha rivisto al rialzo la crescita attesa in Italia: sarà dell’1,2% nel 2023 (rispetto allo 0,8% indicato nelle previsioni di febbraio). E all’1,1% nel 2024 (dall’1% delle stime precedenti). Il deficit dovrebbe scendere al 4,5% nel 2023 e al 3,7% nel 2024. L’indebitamento pubblico sarà al 140,4% nel 2023 e al 140,3% nel 2024.

Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni ha fatto notare che quest’anno la crescita italiana sarà la più elevata tra le maggiori economie europee. Ma, secondo le sue stime, l’Italia tornerà a essere l’anno prossimo il paese con la crescita economica più bassa.

«L’Italia – ha detto – ha registrato una crescita pari al 12% in tre anni ed è un fatto molto significativo, certamente derivante da una crisi” precedente molto pesante. Cioè quella del 2020 quando, a causa dei lockdown per Covid, il Pil è sprofondato dell’8,9%. Il rallentamento previsto nel 2024 «è diverso dalla proiezione del governo a causa fondamentalmente di alcuni aspetti della politica espansiva che il governo considera che però non sono ancora definitivi nei loro contorni per cui non possiamo tenerne conto. Poi c’è un livello di investimenti che noi prevediamo meno favorevole rispetto alle previsioni italiane».

Gentiloni non si è soffermato sulle difficoltà che sta incontrando il governo Meloni a trovare un filo che permetta di spendere effettivamente i soldi del Pnnr nei tempi stabiliti, cioè il 2026. Ha solo laconicamente auspicato «uno sforzo costante, prudenza nelle politiche di bilancio e pieno uso dei fondi». «Non mi concentrerei troppo sui ritardi tecnici nell’erogazione della terza rata sui quali stiamo lavorando per risolvere le questioni rapidamente – ha aggiunto – la sfida per un piano nella dimensione di quello italiano è quello della revisione, dell’aggiornamento del piano che giustamente il governo vuole modificare, spero di poterlo discutere insieme al più presto perché si tratta di un appuntamento importante. La Commissione è prontissima, flessibile».

Che il 2023 sia un anno di transizione, e di apertura di credito a Bruxelles rispetto al governo Meloni è ormai evidente. Questo però non ha impedito ieri al vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis – di solito ricopre lui il ruolo del poliziotto cattivo – di ricordare a Meloni di tenere la spesa sotto controllo perché «le politiche di bilancio espansive potrebbero alimentare l’inflazione», innescando un meccanismo tale da inceppare ulteriormente i consumi e rischiando di dover indurre a nuovi interventi analoghi a quelli varate per rispondere al caro-bollette. Misure che vanno eliminate, sostiene Dombrovskis – Con i prezzi dell’energia chiaramente in calo, i governi dovrebbero essere in grado di eliminare gradualmente le misure di sostegno e ridurre il loro debito».

Ed è qui che emergono i problemi. Basta infatti leggere nel documento economico per capire che l’inflazione «core», cioè al netto di quella prodotta dalla speculazione sui prezzi dell’energia avvenuta con la guerra russa in ucraina, resiste e non scenderà facilmente. Ciò porterà alla riduzione dei costi di produzione delle imprese, e a un calo delle bollette energetiche. Tuttavia i consumi privati sono destinati a rimanere contenuti e la crescita dei salari resterà indietro rispetto all’inflazione alta. Cioè i salari continueranno a perdere potere d’acquisto. Al posto dei profitti, che sono la vera causa dell’inflazione, saranno i lavoratori a pagare la crisi.
«Ci si aspetta che le aziende utilizzino i profitti per finanziare nuovi investimenti, contrastando così gli effetti negativi di tassi di interesse più elevati e condizioni di prestito più restrittive». Si capisce la ragione delle previsioni ottimistiche di ieri. Dicono alle imprese che ci sarà la crescita, sperando che facciano nuovi investimenti. Ma è tutto da vedere.

La Commissione attende però «incrementi salariali più sostenuti sulla scia della persistente tensione dei mercati del lavoro, dei forti aumenti dei salari minimi in diversi paesi e, più in generale, delle pressioni esercitate dai lavoratori per recuperare il potere d’acquisto perduto». Sembra un auspicio. Vista dall’Italia, soprattutto.