Arriva il referendum: la tentazione del voto e il rebus istituzionale
Parlamento Ci sono le firme per la consultazione sulla revisione costituzionale voluta dai 5 Stelle che ha tagliato di oltre un terzo deputati e senatori. Si si apre una finestra per elezioni anticipate con i vecchi numeri. Ma il successivo giudizio degli elettori sulla riforma rischia di togliere legittimità alle camere
Parlamento Ci sono le firme per la consultazione sulla revisione costituzionale voluta dai 5 Stelle che ha tagliato di oltre un terzo deputati e senatori. Si si apre una finestra per elezioni anticipate con i vecchi numeri. Ma il successivo giudizio degli elettori sulla riforma rischia di togliere legittimità alle camere
Sessantacinque firme, un quinto del totale dei senatori, chiedono il referendum sulla riforma costituzionale che ha tagliato i parlamentari. L’obiettivo è stato raggiunto, lo hanno annunciato ieri i tre senatori che hanno lanciato la raccolta, Pagano e Cangini di Forza Italia e Nannicini del Pd. La possibilità di firmare resta aperta fino a ridosso della scadenza prevista dall’articolo 138 della Costituzione, tre mesi dalla pubblicazione della riforma, cioè il 12 gennaio. I promotori hanno infatti intenzione di depositare le adesioni in Cassazione in prossimità della data limite. Sperano che nuove firme possano aggiungerci, anche se non si può escludere il rischio che qualcuno possa decidere di ritirarsi. Ma intanto partono ufficialmente i ragionamenti sugli scenari della legislatura. Tutti molto complicati.
LA RICHIESTA VALIDA di referendum costituzionale fa si che la riforma che ha tagliato da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori elettivi non possa essere promulgata. L’ultima parola passa agli elettori, in una data che è lecito collocare tra la metà di maggio e la metà di giugno – anche se i termini previsti dalla legge sui referendum consentirebbero in casi limite di votare anche ad aprile o a fine giugno. Si apre così una finestra non piccola nella quale è possibile andare al voto anticipato per eleggere il parlamento ancora sulla base dei vecchi numeri, assai più larghi. La legge elettorale per farlo c’è, è il Rosatellum con quale si è votato il 4 marzo 2018: favorisce le coalizioni e (sulla base dei sondaggi) consegnerebbe il paese al centrodestra, penalizzando le terze e quarte forze che però potrebbero approfittare dei numeri ampi per eleggere ugualmente una delegazione sia alla camera che al senato.
È uno scenario che potrebbe concretizzarsi nel caso di rapida crisi del governo giallo-rosso, magari dopo le regionali di fine gennaio. Fatte le elezioni, però, il referendum costituzionale si terrebbe ugualmente. Solo il referendum abrogativo previsto dall’articolo 75 della Costituzione, infatti, deve tassativamente slittare di un anno in caso di elezioni. La legge del 1970 che ha attuato lo strumento di democrazia diretta, infatti, ha lasciato qualche buco nella disciplina del referendum costituzionale, considerato un’eventualità davvero remota perché riforme costituzionali fatte senza la maggioranza dei due terzi erano all’epoca impensabili. Infatti il primo referendum costituzionale c’è stato solo nel 2001 (l’unico in cui ha vinto il sì, mentre nei successivi del 2006 e 2016 ha vinto il no). Il risultato dunque potrebbe essere paradossale: si eleggerebbe un parlamento con 630 e 315 senatori, ma dopo poche settimane potrebbe essere confermata dal popolo la riforma che riduce pesantemente quei numeri. Le nuove camere rischierebbero così di essere immediatamente delegittimate. E non è detto che questa eventualità non sia stata valutata da chi immagina di perdere le elezioni e non vuole per questo che sia il prossimo parlamento a eleggere il capo dello stato.
PER ASSURDO si potrebbe votare tutto nell’election day, visto che il referendum costituzionale non prevede quorum e non è influenzato dalle astensioni: nello stesso giorno si potrebbe avere sia il nuovo parlamento ancora di 945 mebri, sia la riforma che lo riduce di un terzo.
Del resto, anche l’ipotesi di andare al voto anticipato dopo che il referendum si sarà svolto, e di conseguenza si sarà cambiata la legge elettorale (in senso proporzionale, allo stato delle trattative) e saranno stati disegnati i nuovi collegi elettorali, è parecchio forzata. Perché tra una cosa e l’altra si potrebbe votare non prima del prossimo autunno: il che è molto difficile sia tecnicamente – ci sarà un’altra legge di bilancio da fare – che politicamente, perché se la crisi ci sarà nei primo mesi del 2020 questo vorrebbe dire dover prorogare la vita del Conte 2 oltre ogni accanimento. Sono scenari davvero complicati per tutti, ma soprattutto per chi dovrà gestirli a tutela delle istituzioni, Sergio Mattarella.
È per questo che, malgrado abbia aperto la finestra per un voto anticipato meno preoccupante per i parlamentari in carica, il referendum sulla riforma costituzionale può alla fine funzionare da stampella per il traballante governo in carica. Almeno per un altro anno.
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