Oggi pomeriggio, sabato, a Napoli al teatro Mercadante, vedrò con una certa emozione la nuova edizione di Arrevuoto, lo spettacolo teatrale ormai tradizionale di ogni anno di cui è organizzatore co-regista Maurizio Braucci (reduce dalla pubblicazione di racconti molto belli per e/o che hanno a protagonisti dei cani) e interprete una periodica compagnia di ragazzi di Scampia.
È molto emozionante ogni anno ritrovarsi a questo appuntamento, e assorbirne una lezione di vitalità e di entusiasmo che nasce da un sentimento di affermazione da parte dei giovani interpreti («ci siamo anche noi! e non vogliamo essere gli ultimi»), figli di un quartiere periferico che divenne noto in anni passati perché fu il micidiale teatro di guerra tra bande di spacciatori di droghe.

Ebbi anch’io un piccolo ruolo in questa storia perché, lavorando insieme a Braucci, a Giovanni Zoppoli, e mi pare anche Saviano e ad altri amici a un opuscolo che intitolammo Napoli comincia a Scampia fui spesso in quel quartiere e suggerii a Roberta Carlotto, bravissima animatrice e organizzatrice di tante cose e non solo di teatro, di pensare a qualcosa da fare proprio a Scampia, e con i ragazzi di Scampia.

La misi in contatto con un gruppo teatrale che conoscevo bene quello delle Albe di Ravenna, «inventato» dalla coppia Marco Martinelli-Ermanna Montanari, che a fianco di spettacoli «adulti» lavorava nelle scuole della città e dei dintorni a formidabili spettacoli di ragazzini e per ragazzini che battezzarono di «Non-scuola».
Aveva dell’incredibile, quasi del miracoloso, la loro capacità di tenere insieme un gruppo di ragazzi, studentelli e altro, e di farli appunto scatenare davanti a un pubblico di loro coetanei in spettacoli vivacissimi. Che comunicavano la loro vitalità a un pubblico di adulti dapprima diffidenti – facendoli tornare, se si può dire, bambini.

Ho ancora ben vivo il ricordo della rappresentazione del primo Arrevuoto, e lo stupore e l’entusiasmo dei ragazzi che vi prendevano parte come di quelli che vi assistevano – e dei loro genitori, dei loro amici. (Sulla scia di quel bel risultato si fece anche un importante convegno, sempre a Scampia, sul teatro per bambini e ragazzi, che non riguardava soltanto Scampia).

Che la formula liberatrice di Arrevuoto abbia resistito così tanti anni e sia ancora così vitale può far sorprendere, se si pensa a come Napoli sia cambiata e come anche Scampia sia cambiata. E però non sorprende, perché vi si esprimeva e vi si esprime ancora la sete di riconoscimento da parte di tutto un ambiente, e di un intero ceto e per prima cosa della sua parte adolescenziale, della parte dei figli, e di quelli più giovani, che volevano gridare la loro presenza, le loro paure e preoccupazioni ma anche la loro gioia di vivere. Di affermare, anche, il loro orgoglio di napoletani, dicendo «ci siamo anche noi» e non vogliamo essere trattati come «gli ultimi», e che non ci sono solo i vicoli del centro a «fare Napoli», a dar sangue a tradizione dandole ogni anno nuova vitalità e qualche nuova speranza.