Politica

Arresti domiciliari per i super poliziotti condannati

G8-MASSACRO DELLA DIAZ Nel pomeriggio di San Silvestro la decisione del tribunale di sorveglianza di Genova

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 3 gennaio 2014

Tutti dentro o, meglio, tutti ai domiciliari per effetto della «svuotacarceri» voluta dall’ex ministra Severino. Finisce così a 12 anni, 6 mesi e una manciata di giorni dalla notte della Diaz, una delle più brutte pagine della polizia italiana. Il pomeriggio di San Silvestro il tribunale di sorveglianza di Genova ha deciso in quale modo dovranno scontare la pena (ciò che ne resta dopo i 3 anni estinti dall’indulto) l’ex capo della Digos genovese Spartaco Mortola e Giovanni Luperi, ex numero due dell’Ucigos: otto mesi di detenzione domiciliare per Mortola, un anno per Luperi. Il giorno prima era stata deciso il futuro immediato di Francesco Gratteri. Anche l’uomo che arrestò Bagarella e Brusca ha cominciato a scontare un anno di condanna. E così gli altri: il suo vice Gilberto Caldarozzi (oggi responsabile sicurezza per Unicredit), l’ex capo del VII nucleo del Reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini (andato in pensione da questore), Filippo Ferri (oggi stipendiato dal Milan come «tutor» di Balotelli), Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Salvatore Gava, Massimo Nucera (l’agente che denunciò falsamente di essere stato colpito da una coltellata) e il collega Maurizio Panzieri. Tutti condannati per i falsi e le calunnie inventati ad arte per giustificare gli arresti di 93 manifestanti.

Il Tribunale di sorveglianza ha negato l’affidamento in prova ai servizi sociali, concedendolo solo a un condannato, Carlo Di Sarro, la cui posizione è sempre stata considerata meno rilevante. I giudici genovesi (davanti ai quali i funzionari condannati si erano presentati la prima volta otto mesi fa) avevano chiesto come condizione per la concessione della misura alternativa una pubblica assunzione di responsabilità oltre a un risarcimento, almeno parziale, delle vittime. Ma nulla di tutto questo è stato fatto. «Mi spiace ma non mi scuso» avrebbe detto Gratteri ancora pochi giorni fa.

La decisione del Tribunale di Genova ha ricevuto anche l’avallo, seppur indiretto, della Cassazione, cui si erano rivolti Canterini e Caldarozzi e che l’11 dicembre aveva confermato il no all’affidamento in prova. Decisione da alcuni considerata severa, ma già la Corte d’appello (e con lei la Cassazione), nelle motivazioni con cui aveva negato a Gratteri & Co le attenuanti generiche, aveva così stigmatizzato la loro condotta: «E’ davvero difficile nascondersi l’odiosità del comportamento: una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, i vertici della Polizia avevano a disposizione solo una retta via per quanto dolorosa: isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociarsi da tale condotta e rimettere in libertà gli arrestati. Purtroppo è stata scelta la strada opposta». Mistero fitto sul futuro lavorativo dei funzionari. Se ad oggi i superpoliziotti sono sospesi per 5 anni come pena accessoria, dal ministero dell’Interno non trapela nulla sul l’esito dei procedimenti disciplinari. Ciò che si sa è che le contestazioni ministeriali qualificano i fatti commessi come «negligenze», anche se sono stati tutti condannati per delitti dolosi. Questo esclude per legge la destituzione e ne consente il futuro rientro in servizio.

Un’interrogazione parlamentare presentata alla Camera da Sel non ha mai ricevuto risposta. Nulla si sa neppure del destino disciplinare e lavorativo degli otto «picchiatori» del VII Nucleo, condannati in primo e secondo grado a 4 anni per lesioni aggravate e poi prescritti prima della Cassazione, che ne ha però confermato la responsabilità ai fini civili: potrebbero essere tutt’ora in servizio. La parola fine, però, potrà essere scritta solo quando si pronuncerà la Corte europea dei diritti dell’uomo, cui hanno fatto ricorso sia i manifestanti, sia i poliziotti. I primi lamentano la mancata punizione dei responsabili delle lesioni, conseguenza della prescrizione e dell’assenza del reato di tortura nell’ordinamento italiano; i funzionari condannati invece sostengono che la Corte di appello di Genova, nel ribaltare l’assoluzione ottenuta in primo grado, avrebbe dovuto riascoltare alcuni testimoni. Tesi già affrontata e respinta dalla Cassazione.

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