Claudio Arrau, nel panorama musicale del Novecento, non è solo una figura di primo piano, ma una lezione di che cosa significhi interpretare. La musica è per lui una forma del pensare, nel senso più profondo e più vero. Il pensiero musicale è tuttavia intraducibile in qualsiasi altra forma di pensiero che non sia la musica stessa. In un incontro fiorentino Arrau mi disse che, certo, la musica va capita, studiata, e rispettata la lettera della partitura, ma per interpretarla ciò non basta, bisogna appropriarsene, penetrarne il significato, in altre parole assimilarne il pensiero, fino a essere la musica che si suona. Arrau fu definito l’ultimo erede della tradizione romantica. In realtà è stato piuttosto un continuatore dell’illuminismo, nel senso che l’ordine, la razionalità della musica sta nella sua forma, e questa forma però racconta l’irrazionale, e gli dà ordine. Da qui la sua sintonia con Mozart, con Beethoven. Del romanticismo Arrau sceglie, non a caso, il percorso che non rinnega l’illuminismo: Schumann, Brahms, lo stesso Liszt. Del resto il suo maestro, Martin Krause, era stato allievo di Liszt e Liszt di Czerny che fu allievo di Beethoven. Sono riflessioni, queste, che nascono dall’uscita, il 14 ottobre scorso, di un cofanetto della Warner Classics che comprende tutte le incisioni dal 1927 al 1962 (The Complete Warner Classics Recordings, Amazon € 66,98, IBS e Feltrinelli € 72,89).

Esiste già un cofanetto di 80 cd, Claudio Arrau Complete Philips Recordings, uscito nel 2018, che comprende le incisioni successive. Purtroppo già introvabile. Nel cofanetto Warner sono testimoniati i primi anni. Si ascolti il primo dei tre studi che Chopin scrisse per il metodo Moscheles. La sicurezza della tecnica, il virtuosismo pianistico, è un dato di fatto, ma è uno strumento, non un fine, per l’interpretazione. Si segua come il tocco costruisce fedelmente il percorso armonico e come il fraseggio, liberissimo, ma sobrio, mette in risalto il contrasto tra due scansioni diverse alla mano sinistra e alla destra. Un miracolo di equilibrio, sia timbrico sia dinamico. O come nel secondo dei Klavierstücke schubertiani il contrappunto delle intricatissime linee si fa canto, un canto d’intimità lacerata, disperata. E c’è Beethoven. Si ascolti il primo Concerto, Philarmonia Orchestra diretta, con intima sintonia, da Alceo Galliera. Arrau. come prima di lui Liszt, crede che Beethoven sia già sé stesso fin dall’inizio. Le morbidezze mozartiane, il suo delicato cantabile, si fanno canto a gola spiegata. Oggi, giustamente, si vuole eseguire informati la musica del passato. Ma anche l’interpretazione ha una sua storia. Troppo facile credere di avere trovato solo noi la chiave per suonare il barocco, Bach, Telemann, i classici. Arrau la possedeva già, questa chiave. Il suo Schubert, il suo Schumann, il suo Mozart sono quanto di più adeguato sia stato sentito come Schubert, come Schumann, come Mozart. E, naturalmente, Beethoven, forse il suo compositore di riferimento, insieme a Chopin (anche lui un romantico sui generis). Ascoltate il Chiaro di luna. Altro che notti serene.

Arrau ne fa una pagina, fin dall’inizio, di una tragicità inesorabile. Gli altri compositori del cofanetto sono Weber, Brahms, Liszt, Grieg, Mendelssohn, Schumann, Granados, Cajkovskij, Debussy. I primi cinque cd sono riversamenti da 78 giri e, tranne il primo, non si sentono fruscii. Gli altri sono riversamenti da LP. E solo in due cd, il 15° e il 16°, in cui sono registrati gli ultimi tre concerti di Beethoven diretti da Klemperer, il suono appare schiacciato. Difficile dire che cosa appassiona di più. La Valse mélancolique S214 (erroneamente segnata come S210) di Liszt. Il Carnaval di Schumann. Tutti gli Studi di Chopin. E un meraviglioso Weber. O gli splendidi due Concerti di Schumann e di Grieg. Il rarissimo Allegro de concert op. 46 di Chopin. I due concerti di Brahms, la Philarmonia Orchestra diretta da Giulini. Ma poi c’è Debussy: un’altra forma di razionalismo quasi mozartiano. Qui, però, si apre un altro discorso.