Dopo il transito delle due navi da guerra, dal valore prettamente simbolico, ecco le armi. L’amministrazione Biden intende chiedere al Congresso Usa di approvare la vendita di armi a Taiwan per un valore stimato di 1,1 miliardi di dollari. Il pacchetto, ancora in fase di composizione, comprende secondo Politico 60 missili antinave, 100 missili tattici aria-aria che armeranno i caccia F-16 di Taipei made in Usa, più l’estensione del contratto per i radar di sorveglianza.

I MISSILI sono il tipo di armi di cui Taiwan sente di avere più bisogno, nell’ipotesi di un’invasione su larga scala o di un blocco navale. L’offerta a stelle e strisce arriva in risposta alla proposta di budget 2023 avanzata qualche giorno fa da Taipei, che prevede un aumento del 14% per le spese militari, ben sopra le attese. Per il via libera ci vorrà tempo: dopo che l’amministrazione avrà formalizzato la notifica serviranno le firme delle commissioni per gli Affari esteri di Camera e Senato (ora in pausa congressuale), e del presidente stesso, il quale peraltro nelle scorse settimane si è mosso per moderare il nuovo Taiwan Policy Act che prevede un innalzamento del livello delle relazioni bilaterali tra Washington e Taipei. Come prevedibile, la Cina protesta. Il portavoce dell’ambasciata a Washington ha chiesto agli Usa di «fermarsi». La vendita di armi è d’altronde uno dei temi più sensibili del dossier taiwanese, sul quale Pechino è convinta gli Usa non abbiano rispettato i patti. Washington sostiene invece che si tratti di una mossa a tutela dello status quo, vista la postura sempre più muscolare della Repubblica Popolare sullo Stretto.

IN ATTESA DELLE ARMI americane, Taiwan ha iniziato a sfoderare le proprie. Ieri sono stati sparati per la prima volta dei colpi di avvertimento contro un drone civile che si muoveva in prossimità di Kinmen, piccolo arcipelago amministrato da Taipei ma che nel punto più vicino dista solo due chilometri dalla costa del Fujian. Il 16 agosto è stato diffuso un video sui social cinesi nel quale dei soldati taiwanesi cercano di allontanare un drone. Da allora le incursioni su Kinmen sono diventate pressoché regolari, allo scopo di mostrare la vulnerabilità delle difese taiwanesi. Finora l’esercito aveva evitato di aprire il fuoco per non causare incidenti ma nei giorni scorsi il ministero della Difesa ha avvisato che i velivoli che non risponderanno agli avvertimenti saranno abbattuti, annunciando il lancio di un nuovo sistema anti droni nel 2023. Il rischio di un’escalation, soprattutto se dovesse essere abbattuto un drone militare e non uno civile, aumenta. Proprio ieri, la presidente Tsai Ing-wen ha dichiarato dalla base dell’aeronautica delle isole Penghu che Taiwan «rimarrà calma» ma che «questo non significa che non adotterà contromisure» alle manovre di Pechino.

Proseguono intanto anche le visite: dopo il governatore dell’Indiana è giunto a Taipei quello dell’Arizona, il repubblicano Doug Doucey, per una visita di tre giorni. Incontrerà Tsai e aziende di semiconduttori. Tsmc, leader mondiale del settore, aprirà uno stabilimento proprio in Arizona nel 2024. Frutto delle precedenti delegazioni l’acquisto di 16 Boeing 787 da parte di China Airlines, la compagnia di bandiera taiwanese.
La contesa tra Usa e Cina si intensifica anche su un altro snodo strategico del Pacifico: le Isole Salomone. Nei giorni scorsi le autorità di Honiara non hanno consentito una sosta per il rifornimento a una nave della guardia costiera americana. Ieri il governo dell’arcipelago ha comunicato la chiusura temporanea dei porti alle navi militari straniere. Mossa che alimenta i sospetti di Washington, che ha acceso i fari sulle Salomone dopo la firma di un accordo di sicurezza con Pechino.

USA E AUSTRALIA sostengono che possa essere costruita una base navale cinese. Gli interessati negano ma è innegabile che l’arcipelago è sempre più nell’orbita cinese, sin dalla decisione del primo ministro Sogavare di rompere i rapporti con Taiwan nel 2019. Honiara ha appena ottenuto un prestito di 66 milioni di dollari per la costruzione di 161 torri di comunicazione mobile, che saranno costruite e fornite da Huawei. Il premier sta provando a rinviare le elezioni in programma nel 2023 e giustifica la cooperazione con la Cina per il bisogno di stabilità di fronte alle «minacce interne» provenienti dall’isola di Malaita, la più popolosa dell’arcipelago.