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Argentina, quando planano gli avvoltoi

Argentina, quando planano gli avvoltoiArgentina, Obama e Macri – La Presse

Buenos Aires Macri apre la porta agli speculatori finanziari

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 14 aprile 2016

Il lungo braccio di ferro tra l’Argentina e gli hedge fund, i fondi avvoltoio, sembra essere arrivato a termine. Giovedì 31 marzo il Senato argentino ha approvato un accordo cedendo ampiamente alle pressioni delle grandi lobby della finanza internazionale. A poco più di 3 mesi dal suo insediamento, il nuovo governo di destra continua imperterrito sulla strada verso il riallineamento neoliberista, un ritorno al peggio, visto che queste politiche hanno già portato il paese al default nel 2001.

Il governo si è impegnato a rimborsare 4,65 miliardi di dollari e per far fronte a questo enorme debito ha chiesto un credito di 12 miliardi di dollari che rimarrà nelle mani dell’alta finanza senza mai mettere piede in Argentina. Resterà invece alle generazioni future il compito di saldare il conto di questo gravoso prestito.
Nel 2005 e nel 2010 i governi di Néstor e Cristina Kirchner erano arrivati ad un accordo per la ristrutturazione del debito sovrano con il 92,7% dei creditori. I titoli di stato del restante 7,3%, tra cui i famosi Tango Bond, sono stati in gran parte acquistati al costo di carta straccia dalle potenti lobby americane che poi nel 2012 hanno ottenuto la sentenza favorevole di un tribunale di New York a carico del giudice Thomas Griesa. Con questa operazione, il Nml, sussidiaria di Elliot Management, diretto dal miliardario Paul Singer, tra i primi finanziatori del partito repubblicano, insieme all’Aurelius Capital e Dart Management Nml otterranno un tasso di profitto del 1180%. Questa operazione conferma il loro nome, i fondi avvoltoio rastrellano titoli di uno stato in fallimento e poi, grazie ai loro contatti nell’alta finanza, la politica e la magistratura ottengono tassi di profitto assurdi.

In un articolo pubblicato sul New York Times, il premio Nobel Joseph Stiglitz segnala che la decisione del governo di Mauricio Macri «è un’eccellente notizia per un piccolo gruppo di investitori ben vincolati e una terribile notizia per il resto del mondo, soprattutto per quei paesi che debbano far fronte alle loro crisi di debito nel futuro». Quando un paese è costretto a ristrutturare il proprio debito, come potrebbe succedere alla Grecia, gli accordi tra lo stato sovrano e i detentori di titoli potranno sempre essere screditati dai fondi avvoltoio. Inoltre, perché negoziare la riduzione del debito quando si può ottenere enormi guadagni con minimi investimenti?

Secondo Stiglitz la maggioranza di questi paesi si sentono intimiditi dai loro creditori e sono disposti ad accettare ogni richiesta, spesso con conseguenze devastanti. È così che, dal 1980, il 52% delle ristrutturazioni sovrane con creditori privati sono state seguite da altre ristrutturazioni o default. L’impossibilità di pagare il debito estero porta i paesi in difficoltà a nuovi indebitamenti a tassi sempre più elevati. Un circolo vizioso che diventa manna per la finanza speculativa globale.

Nel 2001, dichiarando il proprio fallimento, l’Argentina aveva scelto un’altra strada. Non era in grado di far fronte ai 132 miliardi di dollari in scadenza. Il paese era allo stremo, era stata smantellata l’attività produttiva e si era al terzo anno consecutivo di recessione con una riduzione del Pil del 18,3%, solo nel 2001. La disoccupazione superava il 18% e la sottoccupazione il 16%. Non tutto però era in perdita, le banche nel 2001 avevano registrato un incremento del 61,3% in più rispetto all’anno precedente. Il governo, come ultima misura, aveva disposto il corralito, cioè il sequestro dei depositi bancari della popolazione. La misura con una durata prevista di 3 mesi si estese per quasi un anno. Alla fine tutti i conti correnti, di cui la stragrande maggioranza in dollari, si erano trasformati in pesos, con una perdita di 2/3 del loro valore.

I governi Kirchner hanno voluto applicare lo stesso parametro per i titoli di stato. Chi aveva investito in un paese a rischio che offriva alti margini di profitto doveva avere lo stesso trattamento che avevano subito gli argentini. Quindi la ristrutturazione del debito, nel 2005 e poi nel 2010, fu guidata da questo criterio. La misura consentì il recupero del paese che fino al 2008 è cresciuto ad una media di un 8%, mentre calava la disoccupazione, scesa al 7,8%. Ora era possibile saldare i debiti.Quando il paese ha cominciato a dare segni di recupero, i fondi avvoltoi si sono alzati in volo e hanno ottenuto sentenza favorevole nei tribunali di New York. Ma il governo argentino non si è dato per vinto è ha lanciato una campagna internazionale contro l’economia finanziaria che specula sulla pelle della popolazione. L’Argentina ha sollevato un quesito presso le Nazioni unite: quando una società per azioni fallisce i suoi beni vanno all’asta e il ricavo si divide tra i creditori. Invece, quando ciò accade a un paese, cosa si deve fare?

Queste domande, che indicavano un vuoto normativo nella contesa tra economia reale ed economia finanziaria, non furono poste alle organizzazioni finanziarie internazionali, ma a Ginevra, nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite. La grande novità è che l’Argentina chiedeva di cambiare punto di vista, passare dalle finanze alla società.

Il 10 settembre del 2015, l’Assemblea generale dell’Onu, con ampia maggioranza, approvò 9 principi per regolare la rinegoziazione del debito sovrano. L’Onu tentava così di mettere un freno alla speculazione finanziaria e fondi avvoltoio. L’Argentina non presentò la sua proposta all’Fmi, dove il peso dei paesi più ricchi e il potere di veto degli Stati uniti avrebbero bocciato la mozione, ma in seno all’Onu, dove ancora vige il principio democratico di un paese un voto.

Questa cornice giuridica che vuole restringere il margine di manovra dei fondi avvoltoio e legittimare il diritto dei paesi a ristrutturare i propri debiti per tornare a crescere e saldare gli impegni, sostenuta dall’Argentina è stata totalmente ignorata dal nuovo governo di destra. Una terribile notizia per l’economia reale.

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