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Archivio di stato, a Roma si gioca al risiko degli affitti

Archivio di stato, a Roma si gioca al risiko degli affittiL'archivio centrale dello Stato a Roma

Mibact Nel risiko degli affitti che gli archivi di Stato pagano per le loro sedi, il ministero dei Beni culturali (Mibact) sta cercando di risparmiare su quello della direzione generale degli archivi

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 8 novembre 2014

Nel risiko degli affitti che gli archivi di Stato pagano per le loro sedi, il ministero dei Beni culturali (Mibact) sta cercando di risparmiare su quello della direzione generale degli archivi. Questi uffici sono ospitati in un palazzo in via Gaeta a Roma dove il ministero versa un canone di 500mila euro all’anno. Qualche mese fa il Mibact ha cercato di trasferirli al terzo piano della biblioteca nazionale nella vicina via Castro Pretorio. Come abbiamo raccontato nell’inchiesta «Manuale per uccidere una biblioteca» (Il Manifesto 4 giugno) la protesta dei lavoratori e dei sindacati della Nazionale ha bloccato un trasferimento che avrebbe prodotto conseguenze devastanti nel lavoro quotidiano della biblioteca, già sofferente per l’esiguità del personale e dei fondi a disposizione. Il ministero ha prospettato un’altra soluzione: trasferire la direzione degli archivi nel ferro di cavallo della sede centrale dell’archivio di stato nel quartiere dell’Eur. L’affitto verrebbe versato all’Ente Eur spa e andrà ad aggiungersi a quelli ben più cospicui pagati per il museo Pigorini (3.600 milioni), quello per le arti e le tradizioni popolari (1.890 milioni), per l’alto medioevo (370 mila euro), senza contare quello preventivato da 2.200 milioni per il museo nazionale di arte orientale (Mnao), per il museo della civiltà romana, il palazzo dei congressi e il Palalottomatica. L’ala di piazzale degli archivi che dovrebbe ospitare gli uffici, insieme al Mnao, è attualmente occupata da 50 chilometri di materiale archivistico.
Una ricognizione del complesso monumentale che avrebbe dovuto ospitare la «mostra dell’autarchia» nell’Esposizione universale del 1942 non è in grado di ospitare il museo e gli uffici. Nella descrizione che ne ha fatto il sovrintendente Agostino Attanasio, in un lungo e articolato documento pubblicato anche sul sito dell’Archivio centrale di Stato, emerge un’immagine inquietante: fuori l’archivio si mostra in tutta la maestosità dell’architettura fascista, dentro la situazione è molto diversa. L’ala è collegata all’edificio centrale dove si trova la sala studio per i ricercatori, gli uffici e gli spazi pubblici, solo da un passaggio sotterraneo. Il piano terra ha un’altezza di sette metri e ci sono scaffalature su tre livelli a cui si accede da due ballatoi. Secondo il soprintendente questa soluzione impedisce di muovere con i carrelli i materiali all’interno dell’archivio. Il primo piano ha un’altezza di oltre sei metri, ma solai di scarsa portata. Per questo non sopporta scaffalature di oltre 2,5 metri d’altezza. Questo rende inutilizzabili i due terzi dei 4mila metri quadri disponibili. A queste difficoltà logistiche e strutturali si aggiungono quelle climatiche.
L’umidità, le infiltrazioni d’acqua, le finestre panoramiche che lasciano passare il freddo d’inverno e il caldo d’estate, rendendo impossibile la creazione di un archivio a norma e di un museo. Strutture che hanno bisogno evidentemente di un ambiente climatizzato e funzionale, sia per gli studiosi che per i cittadini o il pubblico. Il problema è noto da anni a tutti, al punto da avere costretto l’Archivio – che da anni affronta ingenti spese di manutenzione di questo colosso – a installare pompe d’areazione che consumano enormi quantità di energia elettrica. Il Mibact intende trasferire il museo di arte orientale e la direzione generale per gli archivi al primo piano, e in una parte del piano terra.
L’intera area andrebbe prima ristrutturata e messa a norma con una spesa tra i 5 e i 10 milioni di euro. Il ministero dispone di simili cifre? Senza contare che dovrà continuare a versare l’affitto da 4 milioni e mezzo all’Ente Eur, risultato di un taglio di 2,5 milioni richiesto dalla Corte dei Conti nel 2013. Fino ad allora l’Archivio aveva versato circa 7 milioni all’anno, senza ottenere in cambio gli interventi di messa a norma da parte dell’ente proprietario. La cifra resta imponente per una struttura che non è interamente dedicata alle esigenze dell’archivio, visto che ospita gli uffici dell’agenzia per la mobilità del comune di Roma in un’altra ala. Questa situazione precaria ha spinto l’Archivio a depositare una quantità di carte pari alla consistenza degli archivi collocati negli spazi inadeguati dell’ala laterale in un magazzino a Pomezia, vicino Roma. La spesa è di 150mila euro all’anno. Una scelta difesa dal Soprintendente Attanasio perché a Pomezia le carte sono al sicuro, cosa che non avviene nel loro sito naturale: l’archivio centrale.

Al momento si tratta di materiale di scarsa consultazione. In seguito, le richieste dei documenti potrebbero essere gestite online e poi con un servizio navetta, anche in previsione di un aumento del materiale. Per molti questa scelta non è affatto convincente, e infatti non mancano polemiche e proposte alternative. La prima è la demanializzazione dell’archivio che permetterebbe di dirottare il costo degli affitti sulla ristrutturazione mai realizzata e per l’assunzione del personale fermo agli anni Ottanta e in gran parte in età pensionabile. La seconda sarebbe quella di acquisire una delle aree militari in dismissione dove organizzare un sistema di deposito a costi ben più contenuti. Su queste ipotesi il ministero, per il momento, tace.

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