In Italia ormai non si fa altro che parlare di archivi d’artista. Ma quello digitalizzato in 30.000 files (per il momento, perché si tratta di un work in progress) dalla Bibliotheca Hertziana non è solo dedicato all’opera di un artista, Pablo Echaurren, circoscritta a un decennio (dalla fine degli anni ’60 al ’77), ma a un’intera stagione, quella della controcultura, dei movimenti politico-creativi.
Il dipartimento della gloriosa biblioteca tedesca che si trova a Roma, intitolato a Tristan Weddigen, ha avviato un progetto dal titolo Art in the Modern Age in the Global Context e a lavorare su questa immensa mole di materiali sono tre studiosi, Jacopo Galimberti, Martina Caruso e Carlotta Vacchelli. Cosa contiene questo archivio lo chiediamo allo stesso Echaurren: «Innanzitutto hanno scansionato i miei disegni dell’epoca e poi ovviamente tutte le cose inerenti alla mia attività intorno al ’77, dai quaderni di appunti ai diari ai progetti, oltre a volantini, manifesti, riviste alternative come A/traverso, Oask?!, Viola, Zut, Apache, La Scimmia, ecc. Mi hanno anche fatto parlare per giorni realizzando una lunga videointervista che fa il punto sulla mia esperienza di quegli anni».

Non è la prima volta che un’istituzione internazionale si occupa di questo prezioso corpus che rappresenta una stagione importante del contesto politico e artistico italiano. Anni fa, ad esempio, l’università di Yale ha acquistato molti dei disegni originali realizzati da Echaurren per Lotta Continua, le fanzines fatte all’epoca con gli indiani metropolitani e molto altro. Il curatore Kevin Repp, aveva spiegato all’artista italiano il loro programma di acquisti: «Compriamo a tappeto materiali di questo tipo, poiché oggi l’Europa è disinteressata a questo patrimonio, ma quando cominceranno ad occuparsene dovranno venire da noi». Molti protagonisti di quei movimenti, per un atteggiamento anti-americano hanno avuto problemi a vendere a Yale quei materiali, così dopo la loro morte i parenti hanno buttato tutto nella spazzatura. «Domani sarà più stimolante», aggiunge Echaurren, «esplorare gli anni ’70 non tanto dal punto di vista delle diversità ideologiche – per esempio le posizioni tra Lotta Continua e il manifesto – quanto attraverso le manifestazioni creative, che sono forse molto più comprensibili».

Tutta questa produzione ha anticipato di alcuni decenni il mondo della Rete, perché paradossalmente quei giornaletti underground entravano in relazione con mille altri gruppi che facevano mille altre pubblicazioni, usando una lingua poetica e creativa. E tutti si sentivano dentro un unico flusso collettivo, qualcosa definito dal critico e storico dell’arte Maurizio Calvesi «avanguardia di massa» e che, in modo diverso, possiamo ritrovare in alcune dinamiche della Rete.

Ma lasciamo che sia ancora una volta Echaurren a raccontare come all’epoca conciliava la sua militanza politica e il suo essere artista all’interno del sistema. «Mentre fin dal 1973 collaboravo a giornali come Lotta Continua, realizzando disegni che non firmavo, per puro spirito di servizio, contemporaneamente mi dedicavo ai miei quadretti che il mio gallerista Arturo Schwarz mandava in giro per il mondo. Poi ho iniziato a fare le copertine per due collane della Savelli: La chitarra, il pianoforte e il potere e Il pane e le rose. Queste cose ebbero una certa risonanza tanto che il mondo dell’arte si inquietò e i mercanti mi chiesero: ma noi cosa stiamo vendendo dei quadri o delle illustrazioni? Nel 1977 Sofri mi chiamò a lavorare alla rinnovata edizione di Lotta Continua come redattore, percependo una paga, e così smisi concettualmente di fare l’artista sciogliendomi dentro il movimento del ’77 e il gruppo degli Indiani metropolitani».

A proposito di anonimato, in quegli anni un situazionista italiano amico di Debord, Gianfranco Sanguinetti, firmandosi con lo pseudonimo di Censor, pubblicava Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia. Uscito nel 1975 per l’editore Scotti Camuzzi in soli 520 esemplari numerati, questo lucido e spietato pamphlet fu spedito per posta a banchieri, politici, giornalisti e perfino al papa Paolo VI. Alcuni pensarono che dietro quel nome si celassero economisti come Guido Carli, finché Sanguinetti non rivelò il suo nome. Ora l’ultimo dei situazionisti vive a Praga e ha scritto la post-fazione di un altro pamphlet (stavolta contro l’arte) proprio di Echaurren, uscito lo scorso anno e intitolato Adotta un artista e convincilo a smettere per il suo bene (vedi box in questa pagina). «È stato Gianfranco che, tagliando a pezzettini il mio manoscritto, gli ha fatto assumere una forma debordiana», puntualizza l’artista. Del resto l’idea di controcultura di Echaurren è la medesima dei situazionisti: uccidere l’arte per farla rivivere nella quotidianità.

«Oggi – aggiunge ancora Pablo – di arte nella politica ce n’è poca, mentre di politica nell’arte ce n’è tanta, ma è viziata dal fatto che bene o male è già acquisita dal sistema, ed è anche questo il tema del mio libro. Tante cose che vediamo alla Biennale sono politiche ma, introdotte poi in un circuito commerciale, vengono vanificate. C’è tutto un contesto di sponsor, galleristi e collezionisti che rendono ambiguo il messaggio politico, riducendolo a spettacolo. La grande mistificazione del mercato è trasformare i ready-made in oggetti da museo anziché scagliarli contro le vetrine dell’arte».