Non l’hanno dovuto licenziare, è bastato cancellarlo dalla chat di whatsapp. Così si lavora nel campo dell’archeologia preventiva, quella che sorveglia i cantieri edili per verificare che gli scavi non distruggano reperti antichi: nessun salario minimo né tutela, richieste la partita Iva e la regola (tacita) del silenzio. Niccolò Daviddi la scorsa settimana si è fatto intervistare dal programma Rai Agorà: «Faccio parte dell’associazione Mi riconosci, ho raccontato una condizione comune a molti: le realtà romane del settore ti danno 6 euro netti l’ora, alle telecamere non ho aggiunto altro. Eppure avrei potuto dire che siamo trattati come dipendenti ma senza tutele o ferie e senza maturare i contributi per la pensione. Lunedì scorso il servizio è stato condiviso su un gruppo facebook, la ditta per cui lavoravo l’ha visto e mi ha estromesso dalla chat».

ESSERE FUORI DALLA CHAT equivale a perdere il lavoro: un lavoro a chiamata, spesso il pomeriggio o la sera per la mattina successiva alle 8. «È tutto deciso da loro, noi diamo solo la disponibilità dei giorni. Se ci sono 5 persone e 3 cantieri stabiliscono chi va dove, magari in base a chi è più vicino alla dirigenza. Non vengono prese in considerazione le nostre esigenze, credo che nemmeno sappiano dove abito». Basta la lettera di incarico e si viene ingaggiati a giornata: «In teoria l’ingaggio è a giornata, 80 euro lordi, ma poi cominciano le pressioni per farti andare via entro le 14 e pagarti la metà. Se piove ti mandano via alle 10 e incassi 20 euro. L’attrezzatura è a carico tuo, come l’auto e l’assicurazione contro gli infortuni».

NESSUN CONTRATTO NAZIONALE, edile o federculture, ma la partita Iva: «Sono riusciti a realizzare il sogno di ogni imprenditore: manodopera a chiamata, a bassissimo costo, senza oneri e senza garanzie. Se lavori tanto, pagate le tasse, ti restano tra gli 800 e 1.300 euro, spesso molto meno. Lo facciamo perché non vogliamo mollare l’archeologia. Per poter fare la sorveglianza su un cantiere bisogna avere la laurea triennale e poi la magistrale; per fare la valutazione di rischio archeologico e i cantieri di archeologia preventiva bisogna avere anche un dottorato o la scuola di specializzazione oppure un master qualificante. Io sono alla metà del mio settimo anno di studio, al secondo anno di dottorato».

IPERQUALIFICATI e pagati una miseria: «Il tasso di abbandono è altissimo. La gente è disgustata quando sente le nostre storie ma è il segreto di pulcinella, non se ne parla perché ci si sente sotto ricatto. Io ad esempio ho potuto raccontare perché ho un dottorato con borsa tedesca (i materiali da studiare sono a Roma) ma avrò la nomea di quello che crea problemi. Il lavoro è controllato dalla ditta, non possiamo contrattare il compenso perché c’è la fila di precari da vessare, ci pagano a 30 giorni ma si può scivolare a 60 o 90 e persino a 4 o 6 mesi. È questo essere liberi professionisti?».

ESTER LUNARDON lavora in giro per l’Italia, Veneto, Friuli, Campania: «Ho iniziato da dipendente in cooperative per tre anni ma è una rarità. Da gennaio sono stata costretta ad aprire la partita Iva. Da dipendente guadagnavo 7 euro l’ora netti: non è considerata una paga buona nel settore, semplicemente è molto comune doversi adattare. Sono pochissimi eppure li prendevo in ditte che considero tra le più oneste perché almeno mi avevano assunta. Adesso il compenso è a giornata, 90 euro lordi. Non mi sono mai ammalata, se succede (o se piove) e sto a casa ci rimetto il compenso, i lavori non si fermano ma se ci fosse un controllo sarebbe un problema. Sono una partita Iva ma è una finzione: opero per la stessa ditta 5 giorni su 7, non c’è spazio per proporre le mie tariffe, posso solo rifiutare o accettare l’offerta».

EPPURE LE RESPONSABILITÀ sono tante: «Non c’è solo la sorveglianza, bisogna conoscere l’inquadramento storico archeologico del sito, prevedere quello che potrei trovare e, se lo trovo, capire cosa ho davanti. Non vanno bene le nostre condizioni di lavoro e non va bene che operiamo solo se ci sono scavi in edilizia: ho lavorato in cantieri di grandi opere che, per il loro impatto ambientale, non avrei mai voluto fossero costruite. Eppure mi davano lavoro. Anche la sicurezza è un tema enorme, ci sono responsabili che ci tengono ma anche contesti dove non viene tenuta in nessuna considerazione».

COSA BISOGNEREBBE FARE? «Potenziare l’archeologia preventiva ma soprattutto slegare, almeno parzialmente, la disciplina dal mercato edilizio e prevedere, piuttosto, che le Soprintendenze abbiano maggiore iniziativa in termini di progetti di ricerca e di divulgazione. Invece siamo l’ultima ruota del carro, l’obiettivo che ci assegnano è fare andare avanti i cantieri in modo veloce e indolore. Se scopro qualcosa devo presentare la documentazione, la Soprintendenza dovrebbe pubblicare i risultati a secondo dell’importanza ma da decenni sono sotto organico e quindi fanno solo l’ordinario. Così la nostra figura non è compresa e riconosciuta, siamo considerato come disturbatori con un hobby. In questo modo nessuno riesce a capire l’importanza delle ricerche che svolgiamo. Siamo lavoratori poveri e sfruttati ma rifiutiamo la vittimizzazione: siamo attivi nell’associazione Mi riconosci per cambiare il mondo del lavoro per cui abbiamo studiato».

FRANCESCO COLOPI è ligure: «Lavoro nella mia regione ma sono disponibile alle trasferte: c’è chi ti mette a disposizione un alloggio in affitto o una camere di hotel, altre volte te ne devi fare carico. In quattro anni solo una volta mi è stato proposto un contratto da dipendente, se vuoi lavorare sei costretto alla partita Iva. La pensione è un pensiero che ci angoscia: di questo passo, a 70 anni staremo ancora sui cantieri. Il primo problema è contrattare individualmente il compenso con l’impresa: capita di ritrovarsi su uno scavo edile dove c’è un’emergenza archeologica con 6 o 12 colleghi, magari tutti con la tua stessa esperienza ma tutti con compensi differenti. E il lavoro arriva quasi sempre con il passaparola. Eppure noi siamo gli occhi e le orecchie dei funzionari di Soprintendenza. Al ministero forniamo un servizio come la tutela di quello che emerge dal sottosuolo ma operiamo da professionisti privati per l’archeoimpresa. Non ne siamo però dipendenti, non costituiamo un team: siamo singoli professionisti a chiamata, ognuno costretto a difendersi da solo».