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Aquatlantic, un tuffo nel profondo

Aquatlantic, un tuffo nel profondo

Graphic Novel Intervista a Giorgio Carpinteri che torna al fumetto con il migliore dei mondi possibile

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 gennaio 2019

Si fa un tuffo nel passato e un salto nel futuro. E’ così con i fumetti di Giorgio Carpinteri che attinge stilisticamente alle avanguardie pittoriche della prima metà del Novecento, ha lasciato il suo segno inconfondibile nel fumetto italiano degli anni ’80 e ci riproietta in avanti per paesaggi immaginifici assoluti. Dopo 33 anni di assenza dalle strisce sbilenche e ricercate dell’epoca di Frigidaire e Valvoline, Carpinteri è tornato alla narrazione disegnata con l’affascinante Aquatlantic (Oblomov, pp. 56, colori, formato 21,5 x 30, cartonato, € 20), un volume che si lascia guardare con piacere. Domina il blu con tutte le sue sfumature di abissi marini, interni notturni, distese oceaniche calme e cieli infiniti. Le illuminazioni rosse e gialle contrastano nettamente, mentre i tratti ora esasperati ora curvilinei movimentano espressioni e scenari. E’ in questo spazio fluido profondo che l’autore colloca il protagonista Bho, popolare attore comico noto per il suo personaggio Ettore Patria, una caricatura degli uomini di superficie. Questi, ovvero noi, sono considerati stupidi e distruttivi dagli abitanti di Aquatlantic dove vige un regime di gioia sociale, assicurata dal governo della “felicità originale”, dal discreto controllo delle tartarughe telepatiche e dall’assenza di contatti con i terrestri. L’armonia però è in pericolo proprio per la penetrazione mentale di Bho da parte di Mister Clive, losco figuro telepata di superficie. Il teatrante quindi va in crisi, rischiando di assomigliare al “personaggio stupido, volgare ed egoista” che interpreta e di mettere così in pericolo tutto l’equilibrio etico-sociale in cui vive. La storia propone quindi il conflitto interiore fra un bene e un male, entrambi dai contorni incerti, che rispecchia anche una contraddizione collettiva, perché è necessaria la coesistenza delle due parti separate. Sotto la maschera sociale indossata da Bho trapela il volto infelice della persona che si pone domande sul modello di benessere imposto. Esprime i suoi dubbi scrivendo un diario-lettera alla tartaruga empatica Rex (creatura anfibia) o raccontando il suo sogno all’amico d’infanzia nonché attuale ministro dell’Armonia, l’altissimo Lah. Come dice poi Rex “è difficile che un’ombra riesca a nascondersi nella nostra comunità luminosa” anche se una chiave o una pistola, reperiti al Museo di Superficie, possono intralciare la comunicazione. Con questo lavoro Carpinteri condivide anche un po’ di sé e con l’intervista che segue ne allarga la comprensione.

Sei stato fra i maggiori artefici di Valvoline che ha rinnovato il fumetto italiano negli anni ’80. Come si caratterizzava?

Gli anni ’80 sono ben rappresentati dalla rivista Frigidaire, di cui facevo felicemente parte. Il gruppo di “amici geniali” che l’avevano creata erano il fronte più avanzato in fatto di contemporaneità e libertà espressiva ma, forse, c’era un margine per dar vita a qualcosa di ulteriormente “nuovo”. Fondare il gruppo Valvoline Motor Comics ha risposto all’esigenza, che condividevo con altri amici geniali, di andare oltre al “essere contemporanei”. Nel mio lavoro convivevano l’amore per il fumetto americano e la passione per il costruttivismo russo e il futurismo. Questo cocktail d’influenze mi faceva sentire più libero dai tic e tormentoni delle mode passeggere. Semplicemente, Valvoline portava nel linguaggio dei fumetti le proprie passioni extra-fumetto: pittura, cinema, letteratura, musica, ecc. Del resto, il fumetto è sempre stato un linguaggio accogliente e vivo.

Perché a un certo punto hai sospeso la tua produzione fumettistica?

Le mie illustrazioni erano richieste da riviste di moda, compagnie teatrali mi chiedevano di disegnare scenografie, il libro Polsi Sottili ispirò un film (di Giancarlo Soldi, 1985, ndr), poi fu la volta della televisione (Rai e Disney Channel).

Cosa ti ha portato, dopo 33 anni, a farci ritorno con Aquatlantic?

Dopo tanti anni di lavoro, in equipe, come art director di una società di produzione televisiva, dove cerchi sempre di dare il massimo per brand altrui, tornare ad essere tu il brand è interessante.

Ci sono tante sfumature di blu, contrastato dal rosso arancione. Racconta…

L’uso dei colori a olio mi ha permesso di giocare con contrasti fortissimi tra colori delicati, come il giallo Napoli, e colori decisi, come il bleu royal. A questo contrasto, delicato/brutale, è affidato il racconto di un mondo, il nostro, fragile e forte.

Come nasce la storia?

Mi ha molto affascinato la credenza della Qabbalah secondo la quale l’ordine del mondo si regge grazie all’esistenza di un numero esiguo di saggi, gli tzatik. Se il numero di questi silenziosi e invisibili monaci si riducesse, l’intera umanità sarebbe in pericolo. Per me è la metafora di come sia importante, per ciascuno di noi, custodire e proteggere quella piccolissima percentuale di noi stessi che non ha ancora ceduto al cinismo e al disincanto.

Ci sono anche dei bei contributi di Mattotti e Igort. Ce ne parli?

Per me Aquatlantic è un libro Valvoline, un po’ fuori dal tempo e dai generi. Ho voluto sottolineare questo aspetto con la loro presenza.

Il protagonista Bho recita la parte di Ettore Patria, uomo di superficie, e sperimenta nel sogno un’altra vita. E’ una storia su scissione e ricomposizione della persona?

Bho è un attore comico di Aquatlantic. Un Charlie Chaplin che crea il suo Charlotte: Ettore Patria, che rappresenta l’indifendibile “uomo di superficie”, uno che si crede intelligente ma è considerato dagli abitanti sottomarini lo “zimbello del pianeta”. Come ogni bravo attore, Bho cerca di arricchire e approfondire il personaggio che interpreta, ma alle domande che si pone finirà per rispondere un viscido telepata di superficie. Più che di scissione si può parlare d’interferenza. Un uomo squallido e senza scrupoli s’insinua nella mente del buon protagonista. E’ un caso di possessione senza diavoli o meglio: il diavolo siamo noi.

Ci sono le dicotomie finzione-realtà, superficie-profondità: è anche un’esplorazione nell’individuo con una critica dell’umanità?

La storia vuole essere una candida critica alla nostra certezza principale: quella di essere la razza più intelligente sul pianeta e di vivere nel migliore dei mondi possibili. Ma allora perché non ne azzecchiamo una? Guerre, ecosistema avvelenato, infelicità, ingiustizia, sopraffazione, indifferenza, divisione, sovranismi… sembrerebbe il ritratto di una civiltà, perlomeno, molto “immatura”. Aquatlantic è un gentile richiamo alla necessità di sostituire la scala di valori che ci guida con una nuova stella polare, qualcosa che non rimandi sempre e solo al profitto.

Un tema centrale è la felicità imposta con forme omologanti. Sei pessimista al riguardo?

Una volta deciso di raccontare una storia positiva, fatta di buoni sentimenti e buone speranze, il più era fatto. In un mondo incattivito e senza speranza ho proposto una storia a lieto fine. Mi è sembrato il modo più “controcorrente” per tornare a disegnare fumetti. Insomma, ho pensato che abbiamo bisogno di consolazione ma, si sa, per un “uomo di superficie” tra “consolazione” e “consolatorio”, tra “buono” e “buonista” il passo è breve.

Come pensi di proseguire ora?

Ora sto tornando alla sintesi del bianco e nero e ai colori piatti, molto pop. Dopo la complessità torno a quello che per me è il cuore del fumetto: una semplicità sfacciata combinata a una voglia di raccontare la vita in modo un po’ sfrontato, nel mio caso attraverso un’ironia poetica. Ho in mente una mia Marvel 4.0, pubblicata da dicembre su Linus. Un mondo di supereroi che usano la maschera per farsi riconoscere con più facilità e che hanno social media marketing manager che curano il loro “livello di celebrità”. Un mondo di supereroi, sponsorizzati come un pilota di formula uno, con cui farsi un selfie.

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