Aprà e l’underground italiano, un cinema di emozioni e di alchimie
Filmmaker L'omaggio all’Aprà storico, teorico e operatore culturale ricorda che il cinema può far pensare e emozionare senza per forza raccontare storie
Filmmaker L'omaggio all’Aprà storico, teorico e operatore culturale ricorda che il cinema può far pensare e emozionare senza per forza raccontare storie
Tra le molteplici passioni cinematografiche di Adriano Aprà il cinema underground ha rivestito un ruolo importante non solo nella sua attività storico-critica, ma anche nella sua esistenza. Al cinema sperimentale, indipenden te, «fuorinorma» italiano e internazionale, Adriano ha dedicato retrospettive, festival, omaggi, pubblicazioni, ma anche impegno nel preservarlo e restaurarlo (come conservatore della Cineteca Nazionale). Oltre ad essere stato amico di numerosi autori, frequentandoli tra gli anni ’60 e ’80, tanto che la sua casa nei dintorni di Piazza Navona a Roma.
Insomma Aprà ha «vissuto» l’underground come filosofia di vita e non solo oggetto di ricerca. Spesso ci siamo trovati a discutere sulle affinità e le differenze tra la sperimentazione italiana e quella statunitense, senza riuscire a darci davvero una risposta convincente. Eppure, sfogliando uno dei suoi scritti Cinema sperimentale e mezzi di massa in Italia, redatto nel 1976 per la Fondazione Rizzoli, alcune indicazioni le troviamo: «L’esperienza underground italiana appare come un fenomeno di germinazione spontanea e dallo sviluppo autonomo rispetto al resto del nostro cinema» – scriveva Adriano; aggiungendo tuttavia che «nonostante i tentativi iniziali, non si è formato quello spirito cooperativistico ed elitario, quella ideologia dell’escluso che, specie negli Usa, caratterizza la produzione underground». Concludendo: «Si ha l’impressione che il cinema sperimentale italiano non abbia storia, o che non abbia debiti col proprio passato».
Per un decennio, tra il 1965 e il 1975, il contesto underground romano si configurò come il fulcro di una serie di esperienze che finirono poi per due decenni nel dimenticatoio. Il dibattito critico (spesso caratterizzato da scontri e incomprensioni) che si sviluppò intorno a questo cinema «altro», prese vita su riviste come «Filmcritica» e «Cinema & Film», quest’ultima fondata da Adriano, il quale dedicò ampio spazio alla produzione sperimentale italiana. Memorabile resta il suo pezzo Trilogia per un massacro scritto insieme a Piero Spila e dedicato ai tre lungometraggi di Schifano realizzati tra ’68 e il ’70, film che ancora oggi restano dal punto di vista del linguaggio tra le cose più complesse e innovative (insieme ai film di Bene) della sperimentazione nostrana. Del pittore romano in programma a Milano c’è il cortometraggio su Anna Carini «al naturale», mentre purtroppo del film a colori Anna Carini vista dalle farfalle non vi è più traccia.
Lontano da Roma – ma in contatto con la CCI o con alcuni suoi membri – operavano autori che sono oggi in corso di rivalutazione: pensiamo al sarto varesino con l’hobby del Super 8 Gianfranco Brebbia del quale, per merito della figlia Giovanna, sta emergendo una significativa filmografia, tra cui i titoli della serie Idea assurda, basati su intensi e poetici ritratti femminili. Oppure i fratelli Loffredo, che avevano vissuto tra Parigi e Firenze creando fin dagli anni ’50 esperimenti di found-footage con pellicole reperite nei mercati delle pulci. In Toscana operava anche Piero Bargellini, per il cui cinema – sospeso tra chimica e alchimia – Adriano ha sempre nutrito una particolare predilezione: in Trasferimento di modulazione e Nelda arrestando il tempo di sviluppo della pellicola, Bargellini materializza quell’«immagine latente» che i processi industriali cancellavano. L’altro amico cineasta del quale Aprà ha seguito tutta l’evoluzione linguistica, dalla sperimentazione al videotape alla narrazione, è il torinese Tonino De Bernardi, il cui affascinante Bestiario pensato per essere proiettato su 4 schermi, costituisce uno dei pochi esempi italiani di expanded cinema alla fine degli anni ’60.
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