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Aprà e l’underground italiano, un cinema di emozioni e di alchimie

Aprà e l’underground italiano, un cinema di emozioni e di alchimie

Filmmaker L'omaggio all’Aprà storico, teorico e operatore culturale ricorda che il cinema può far pensare e emozionare senza per forza raccontare storie

Pubblicato circa 5 ore faEdizione del 16 novembre 2024

Tra le molteplici passioni cinematografiche di Adriano Aprà il cinema underground ha rivestito un ruolo importante non solo nella sua attività storico-critica, ma anche nella sua esistenza. Al cinema sperimentale, indipenden te, «fuorinorma» italiano e internazionale, Adriano ha dedicato retrospettive, festival, omaggi, pubblicazioni, ma anche impegno nel preservarlo e restaurarlo (come conservatore della Cineteca Nazionale). Oltre ad essere stato amico di numerosi autori, frequentandoli tra gli anni ’60 e ’80, tanto che la sua casa nei dintorni di Piazza Navona a Roma.

Insomma Aprà ha «vissuto» l’underground come filosofia di vita e non solo oggetto di ricerca. Spesso ci siamo trovati a discutere sulle affinità e le differenze tra la sperimentazione italiana e quella statunitense, senza riuscire a darci davvero una risposta convincente. Eppure, sfogliando uno dei suoi scritti Cinema sperimentale e mezzi di massa in Italia, redatto nel 1976 per la Fondazione Rizzoli, alcune indicazioni le troviamo: «L’esperienza underground italiana appare come un fenomeno di germinazione spontanea e dallo sviluppo autonomo rispetto al resto del nostro cinema» – scriveva Adriano; aggiungendo tuttavia che «nonostante i tentativi iniziali, non si è formato quello spirito cooperativistico ed elitario, quella ideologia dell’escluso che, specie negli Usa, caratterizza la produzione underground». Concludendo: «Si ha l’impressione che il cinema sperimentale italiano non abbia storia, o che non abbia debiti col proprio passato».

In realtà, come sappiamo, il tentativo di creare un collettivo ci fu, ma la CCI (Cooperativa del Cinema Indipendente) nata nel 1967 si sciolse di fatto già nel 1970 e il suo impegno nel distribuire le opere dei vari artisti e cineasti che vi aderirono non si può certo paragonare all’attivismo della Filmmaker’s Coop di Mekas. Nella rassegna Prometeo liberato che il festival Filmmaker dedica ad Adriano, non poteva mancare l’unico film realizzato insieme da diversi componenti della CCI, Tutto, tutto nello stesso istante: di alcuni si riconosceranno i contributi, di altri meno, ma non fatevi ingannare dai titoli di testa perché un paio di nomi non consegnarono i loro metri di pellicola. L’esperimento tuttavia, a distanza di oltre 55 anni, possiede ancora una sua freschezza e dimostra la varietà di approcci e di stili. Aprà non aveva dunque torto a sottolineare che – in un panorama come il nostro dominato ancora dalla «dittatura» del Neorealismo – le sperimentazioni filmiche dei vari Bacigalupo, Bargellini, Brunatto, De Bernardi, Leonardi, Vergine, Grifi, Lombardi-Lajolo, Miscuglio, Epremian, Brebbia, Schifano e Gioli (solo per citare quelli inclusi nella rassegna), appaiono come qualcosa di davvero dirompente, perfino a confronto con il nuovo cinema di Bertolucci o Ferreri che, in diversi modi, furono fiancheggiatori e sodali di questi «giovani turchi».

Per un decennio, tra il 1965 e il 1975, il contesto underground romano si configurò come il fulcro di una serie di esperienze che finirono poi per due decenni nel dimenticatoio. Il dibattito critico (spesso caratterizzato da scontri e incomprensioni) che si sviluppò intorno a questo cinema «altro», prese vita su riviste come «Filmcritica» e «Cinema & Film», quest’ultima fondata da Adriano, il quale dedicò ampio spazio alla produzione sperimentale italiana. Memorabile resta il suo pezzo Trilogia per un massacro scritto insieme a Piero Spila e dedicato ai tre lungometraggi di Schifano realizzati tra ’68 e il ’70, film che ancora oggi restano dal punto di vista del linguaggio tra le cose più complesse e innovative (insieme ai film di Bene) della sperimentazione nostrana. Del pittore romano in programma a Milano c’è il cortometraggio su Anna Carini «al naturale», mentre purtroppo del film a colori Anna Carini vista dalle farfalle non vi è più traccia.

Lontano da Roma – ma in contatto con la CCI o con alcuni suoi membri – operavano autori che sono oggi in corso di rivalutazione: pensiamo al sarto varesino con l’hobby del Super 8 Gianfranco Brebbia del quale, per merito della figlia Giovanna, sta emergendo una significativa filmografia, tra cui i titoli della serie Idea assurda, basati su intensi e poetici ritratti femminili. Oppure i fratelli Loffredo, che avevano vissuto tra Parigi e Firenze creando fin dagli anni ’50 esperimenti di found-footage con pellicole reperite nei mercati delle pulci. In Toscana operava anche Piero Bargellini, per il cui cinema – sospeso tra chimica e alchimia – Adriano ha sempre nutrito una particolare predilezione: in Trasferimento di modulazione e Nelda arrestando il tempo di sviluppo della pellicola, Bargellini materializza quell’«immagine latente» che i processi industriali cancellavano. L’altro amico cineasta del quale Aprà ha seguito tutta l’evoluzione linguistica, dalla sperimentazione al videotape alla narrazione, è il torinese Tonino De Bernardi, il cui affascinante Bestiario pensato per essere proiettato su 4 schermi, costituisce uno dei pochi esempi italiani di expanded cinema alla fine degli anni ’60.

Pur avendo vissuto nei primi anni ’70 a Roma, se ne allontana per ritornare in provincia (Rovigo) un altro grande sperimentatore come Paolo Gioli, tra tutti quello forse maggiormente interessato a implementare l’aspetto tecnologico: di Gioli a Milano viene proiettato Immagini disturbate da un intenso parassita, metafora del conflitto tra l’immagine filmica e la pervasiva immagine televisiva. E non dimentichiamo che Aprà fu tra i primi ad occuparsi criticamente del diffondersi del medium elettronico, sostenendo Alberto Grifi (autore del primo videofilm della storia, Anna, ma qui presente con il bellissimo cortometraggio Orgonauti, evviva!), promuovendo nel 1975 la produzione video statunitense, ideando e dirigendo – insieme a Patrizia Pistagnesi e Marco Melani – il festival di Salsomaggiore dove cinema, video e televisione convivevano perfettamente nel nome della sperimentazione. Nel celebrare l’Aprà storico, teorico e operatore culturale (cosa sarebbe stato lo storico cineclub romano Filmstudio senza di lui?), Prometeo liberato rende nuovamente omaggio a un cinema che, a distanza di mezzo secolo, continua a regalarci emozioni senza per forza raccontarci storie.

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