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Appunti su note non scritte

Appunti su note non scritte

Improvvisi L’uomo non ha mai fatto a meno della musica: riteniamo, sbagliando, che la musica medievale, per esempio, sia prevalentemente quella ecclesiastica. Se questa è la sola, o quasi, almeno fino al XII secolo della nostra era, che ci sia pervenuta scritta ciò è semplicemente dovuto al fatto che l’alfabetizzazione era ristretta quasi solo al mondo ecclesiastico...

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 28 novembre 2021

La musica è gioia, è quella parte delle emozioni umane da cui di certo non ci si sottrae, per questa ragione l’uomo non può fare a meno della musica»: così il filosofo cinese Xunzi, IV-III sec. a.c. E nel I sec. a. C. Cicerone annota: «vita sine musica quam corpus sine anima est». L’uomo non ha mai fatto a meno della musica. Il grande Nino Pirrotta ha osservato che l’abitudine ormai consolidata alla scrittura ci fa ritenere come ciò che non sia affidato alla registrazione scritta non esista. Riteniamo, perciò, sbagliando, che la musica medievale, per esempio, sia prevalentemente quella ecclesiastica. Se questa è la sola, o quasi, almeno fino al XII secolo della nostra era, che ci sia pervenuta scritta ciò è semplicemente dovuto al fatto che l’alfabetizzazione era ristretta quasi solo al mondo ecclesiastico. Carlo Magno era analfabeta.

Ma ciò non significa che non ci fosse musica. Ce n’era, e moltissima, di tradizione orale, dunque non pervenuta. L’immagine corrente del mondo musicale antico e medievale va quindi rovesciata: la musica di cui ci sia pervenuta testimonianza o descrizione è solo la punta dell’immenso iceberg che era la musica praticata da tutti. Bassorilievi e pitture di circa 65.000 anni fa (Ramón Andrés ce ne parla diffusamente nel suo Il mondo nell’orecchio, Adelphi) testimoniano del fatto che per migliaia di anni l’homo sapiens ha coltivato la musica, sia vocale sia strumentale. Le più antiche testimonianze della necessità di registrare per iscritto i suoni della musica risalgono addirittura ai sumeri.

Il percorso è simile sia nelle civiltà orientali sia in quelle occidentali: usare gli stessi caratteri che si usano per la lingua. Del resto, per esempio, tra gli ebrei,come tra i greci, l’alfabeto designava sia le lettere della lingua sia le cifre matematiche. L’uso delle lettere dell’alfabeto per designare i numeri, nel mondo greco, dura, anzi, per tutto l’Impero oggi detto bizantino (ma loro preferivano essere chiamati Romani) e in certo qual modo addirittura fino a oggi. La statua dedicata a Costantino XI, l’ultimo Basileus di Costantinopoli, eretta davanti alla cattedrale di Atene, porta scritta la data della sua morte, 1453, con i caratteri dell’alfabeto greco seguiti da un apice, che è la numerazione greca fin dall’antichità. La Qabbalah ebraica può giocare con i significati simbolici dei nomi proprio perché nomi e numeri si scrivono con gli stessi caratteri.

Si adottò, da parte dei teorici musicali antichi lo stesso sistema per designare i gradi che caratterizzano un modo. Il sistema fu ripreso dai Romani, e da essi, durante il Medio Evo, passato ai popoli e alle lingue di Europa. Si badi, la designazione riguarda il grado della scala, non il suono assoluto. L’identificazione del carattere con il suono si viene pian piano a stabilire dai fiamminghi in poi, ed è ormai stabile nel secolo XVII. Ma esistono ancora oggi tipi di solfeggio, soprattutto nell’Europa dell’Est, che conservano il sistema sviluppatosi dopo Guido D’Arezzo: tutte le tonalità sono do maggiore e la minore, e così si cantano le note quando si solfeggia (il solfeggio parlato è una barbarie quasi solo italiana).

Per esempio in re maggiore il re si canta come do, perché è la tonica. Il la come sol, perché sol è il nome della dominante maggiore. I popoli di lingua inglese o tedesca hanno conservato la denominazione alfabetica latina. Cominciano da la, che è A. E così via per tutti gli altri sei gradi della scala: B C D E F G, si do re mi fa sol. Con una differenza: per gli anglofoni il B è qualsiasi si, se bemolle si specifica flat. In tedesco, invece, B è sempre e solo si bemolle. Il si naturale si dice H.

Così, per esempio, il nome BACH denomina i suoni si bemolle la do si naturale. Una bellissima cellula musicale che Bach, e altri dopo di lui, da Beethoven, che vi costruisce sopra tutti e cinque gli ultimi quartetti, a Liszt, a Webern che lo adopera come cellula del suo quartetto op. 28. Ma questo tipo di notazione è utile per i teorici, a costruirvi le loro teorie modali e armoniche, non aiuta a scrivere una melodia. Quali saranno, le soluzioni di scrittura adottate lo vedremo nella prossima rubrica.

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