Appetricchio è il titolo del secondo romanzo di Fabienne Agliardi (Fazi, pp. 284, euro 18) ed è il nome storpiato di un paese immaginario della Lucania: «Petricchio – scrive l’autrice nella postfazione – esiste nella misura in cui vogliamo farlo esistere. Come il posto delle nostre estati da criaturi, ovunque esso sia».
Il primo aspetto significativo di questo romanzo decisamente articolato è quello linguistico: Agliardi scrive soprattutto in dialetto e anche nelle parti in italiano sono molti i prestiti sapientemente distribuiti. Il risultato di questa scelta, realizzata con maestria, è un ritmo movimentato, divertente, il sorgere immediato di uno scenario umano chiaramente connotato.
NELLA STORIA SI ALTERNANO i racconti di due tempi: uno impresso indelebilmente nella memoria, il mese di marzo del 2020, l’inizio in Italia della pandemia di Covid. La sezione più corposa è però quella dedicata agli anni ’80 e ’90 che corrispondono all’infanzia, fino all’esame di maturità, dei due protagonisti di questa storia, i gemelli Mapi e Lupo. Mapi è la voce narrante ed è lei che, prima che la situazione si aggravi ulteriormente, decide di partire dalla Lombardia per Petricchio, dove non torna da oltre vent’anni. Sua madre Rosa è originaria di lì, solo che poi ha sposato «’o scienziato», vale a dire Guidodario, un farmacista bresciano costretto ogni anno d’estate e per Natale a recarsi nel paesino sperduto da lui tanto detestato. Petricchio non è raggiungibile in auto, o meglio, a un certo punto delle curve, dopo che i gemelli hanno vomitato ormai numerose volte, bisogna scendere e aspettare di salire sul motozappa di Perciasepe.
AD ATTENDERE LA FAMIGLIA «dei milanesi» a Petricchio, c’è Milù, la madre di Rosa, una donna dalla durezza inscalfibile, madre di molte figlie, la prima della quale morta bambina, capace di un’indifferenza e di una freddezza, anche nei confronti del suo stesso marito, molto ben descritte da Agliardi che con questa personaggia trova la sua vetta narrativa.
Nel romanzo sono moltissimi i petricchiesi presenti: quelli che non si sono mai mossi dal paese e il mare lo hanno visto solo da lontano e quelli che sono emigrati e poi tornano, senza raccontare niente degli anni trascorsi fuori, che li hanno resi ormai inesorabilmente «furestici», stranieri. Fra loro, per esempio, Adelina, che torna dall’Argentina e va a vivere proprio accanto a Milù, capace nei lunghi anni di vicinato di non rivolgerle mai la parola, convinta che la donna porti sfortuna. A Mapi e Lupo, invece, Adelina desta una curiosità infinita, del resto l’attività principale dei due gemelli nel paese è quella di svelare i misteri, immaginari e reali. I due ipotizzano che Adelina sia la madre di Maradona: sarà lei l’escamotage per la scrittura del finale, impresa non scontata in un testo in cui i fili da tirare sono tanti quanti gli abitanti di Petricchio.
COME SCRIVE Agliardi, per molte e molti esiste un luogo simile a quello descritto nel suo romanzo. Leggerlo, oltre al piacere che la sua lingua garantisce, permette un’immedesimazione e un accostamento con i paesi che abbiamo avuto la ventura di visitare o di abitare, in cui ci siamo sentiti a casa o dove abbiamo capito che invece «nonneracòsa».