Il rimorso di Prometeo
Il rimorso di Prometeo
ExtraTerrestre

Appello post-prometeico contro tutti i piromani

Libri Il rimorso di Prometeo. Dal dono del fuoco al grande incendio del pianeta di Peter Sloterdijk (Marsilio)
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 4 luglio 2024

Le applicazioni del fuoco, dalla preistoria fino all’incendio planetario innescato dai combustibili fossili: questa la chiave di lettura della storia umana scelta dal filosofo Peter Sloterdijk ne Il rimorso di Prometeo. Dal dono del fuoco al grande incendio del pianeta. Fin dalla preistoria il lavoro umano, marxianamente descritto come «processo che si sviluppa fra uomo e natura», «incontro di forza e materia», è messo in moto anche da un agens extracorporeo: il fuoco, «il più antico complice dell’homo sapiens», nella sua fuga dalle mere condizioni naturali. A parte la produzione di armi primitive in pietra per cacciare e combattere, già allora l’arte di dominare il fuoco, la pirotecnica, è sempre stata una tecnologia essenziale, evolutasi in fornelli e fornaci e intrecciata con il lavoro degli schiavi: strumenti animati, macchine per produrre energia.

LA LENTEZZA nella produzione di legna da bruciare imponeva tuttavia la legge della scarsità. Ed ecco un game changer esplosivo: i motori a combustione che convertono la forza del vapore in energia cinetica. Con il carbone fossile e il coke, e in seguito il petrolio greggio, l’umanità si converte in «un gruppo di piromani che appiccano il fuoco a foreste e brughiere sotterranee». Così esplode la produttività del sistema industriale.

MA PROMETEO? Il filosofo austriaco Gunter Anders proponeva di considerare se il titano filantropo non dovesse vergognarsi per aver portato il fuoco, «diventato un enorme incendio che consuma il mondo in una miriade di fornaci». Con un aumento del benessere, sì, ma anche con maggiore «sfruttamento dell’uomo sull’uomo» ed enormi danni alla Terra, «effetti collaterali dei nuovi giganteschi processi metabolici».

L’ATTUALE CRISI polivalente sconta l’errore principale del processo di civilizzazione compiuto fino a questo momento: il «lapsus fatale» del diritto internazionale mondiale è stato aver concesso agli Stati nazionali «la proprietà delle cosiddette “ricchezze minerarie” presenti nel sottosuolo dei loro territori». Le quali invece dovrebbero essere dichiarate subito patrimonio mondiale dell’umanità, un po’ come i beni culturali dell’Unesco, e come tale gestite.

«TECNOLOGIE post-prometeiche», spiega Sloterdijk, come il solare, il biogas, l’energia dal vento, dall’acqua, dalle maree, insomma le forme di energia non pirotecniche, sono la svolta verso un «pacifismo energetico» che può dare un forte impulso alle economie locali. Locali e su piccola scala; mentre le megalopoli non sono sostenibili e quelle da 15-25 milioni di abitanti andrebbero messe al bando («sarebbe la missione politico strutturale più esplosiva»; di impossibile attuazione, però). Quali opzioni ci restano aperte? Non saranno il rimorso prometeico né il suo pragmatismo ecologico a base di escamotage e riforme a guidare il corso degli eventi. E un altro pericolo è che si va delineando, denuncia Sloterdijk, una sorta di «ribellione neo-prometeica, per non dire iper-prometeica, con la manipolazione dell’energia nucleare – è il prometeismo impenitente del XX secolo».

QUESTO SECOLO è il teatro storico di uno scontro fra correnti post e neo- prometeiche. Scommettendo sul fatto che i consumatori amano lo status quo dell’abbondanza, il mercato dell’estrazione si adeguerà, modernizzerà gli impianti di trivellazione ed estrazione spendendo migliaia di miliardi pur di continuare a generare profitti stratosferici per altri decenni? Si metterà la coscienza a posto con tecnologie di nuova generazione? A contrasto, l’attivista e saggista svedese Andrea Mahm (autore di Capitale fossile) pone l’obiettivo di una «dittatura verde salva- clima» che ritiene inevitabile, mentre il sociologo e antropologo Bruno Latour si affidava a un percorso nonviolento, alla creazione di una coscienza collettiva da parte di una nuova «classe ecologica».

ED ECCO IL «TAGLIO FINALE» che l’autore si impone e propone, chiudendo questo breve e denso saggio: «Qualunque forma di configurazione delle future politiche energetiche e mondiali che non sia irresponsabile, non può fare altro, nella sua essenza, che dar seguito a un appello post prometeico, un appello alla partecipazione del maggior numero possibile di persone a un corpo volontario di vigili del fuoco che obbedisce all’intelligenza». Insomma: firefighters di tutto il mondo unitevi.

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