Visioni

Apollo 13, una storia di sopravvivenza ai tempi dei boomers

Apollo 13, una storia di sopravvivenza ai tempi dei boomersUna scena da «Apollo 13: una storia di sopravvivenza» di Peter Middleton

Streaming Su Netflix il documentario di Peter Middleton intorno alla celebre e drammatica missione spaziale del 1970

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 14 settembre 2024

Nel prologo a Vita Activa, Hannah Arendt si sofferma sull’inedita volontà dell’umanità di emanciparsi dalla Terra. Con le missioni spaziali si era messo in discussione l’intero senso dell’esistenza. Come solo accadde in precedenza con le esplosioni nucleari che in pochi secondi rasero al suolo Hiroshima e Nagasaki, portando via il presente, il passato e il futuro di una collettività.

In quel libro, dedicato al lavoro, all’opera e all’azione, Arendt iniziò riferendosi all’abbandono della Terra e alle conseguenze incerte che tale atto avrebbe generato. La pensatrice politica morì a New York nel 1975, quando da qualche anno lo spazio non era più un semplice luogo immaginifico capace di stimolare filosofi e scrittori di fantascienza. Fuori dal nostro pianeta, iniziarono a circolare oggetti da noi costruiti e persone che fluttuavano in assenza di gravità. E l’universo pareva trasformarsi in una nuova dimora per donne e uomini che, in balia delle proprie competenze, si allontanavano definitivamente dalla natura.

PER CHI, però, è nato tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà dei Sessanta (con l’eccezione del giornalista scientifico Emanuele Menietti, aspirante astronauta, che insieme alla complice Beatrice Mautino, conduce il podcast de «il Post», Ci vuole una scienza), i viaggi sulla Luna hanno prodotto tutt’altro effetto. Nelle fantasie dei bambini e ragazzini di quel tempo, l’idea dell’impresa, della scoperta e il fascino di quella tuta bianca e di quel razzo che si infuocava prima del decollo, prevalevano su ogni possibile riflessione critica. Difficile che qualcuno in quel periodo, anche per un solo istante, non abbia espresso il desiderio di diventare un astronauta, un esploratore del cosmo, un viandante che saltella in paesaggi lunari.
Il documentario di Peter Middleton, Apollo 13: una storia di sopravvivenza, da una settimana su Netflix, sembra rivolgersi prevalentemente a quelli che oggi sono prossimi ai sessant’anni o li hanno superati da poco. La famosa missione del 1970 (un gran fallimento di successo), già ricostruita nel celebre film di Ron Howard, Apollo 13, a sua volta tratto da un libro scritto dal comandante di quella spedizione, Jim Lovell, e da Jeffrey Kluger, riassume perfettamente lo spirito di un’epoca che il cinema, le piattaforme Internet e la letteratura tengono in vita.

LA DIDASCALIA iniziale chiarisce immediatamente l’alto grado di realtà preparato per lo spettatore: «Questo film si basa sulle registrazioni complete della missione Apollo 13, su interviste ad astronauti, famigliari e membri della sala controllo. Sono state ricreate parti di storia prive di immagini e sono stati usati filmati di altre missioni Nasa». Un lavoro d’archivio eccezionale che non risponde ai quesiti radicali di Arendt, drammatizzando invece l’ambizione dell’uomo (Jim Lovell) che non riesce a frenare i propri demoni, mettendo ancora una volta a rischio la propria vita. Contrapposto a questo idealismo vagamente romantico, si erge la speranza della donna (Marilyn Lovell), moglie e madre, che spera nel ritorno alla quotidianità e alla vita famigliare.
Oltre a questo elemento, che rispecchia il maschilismo di quella (e altre) società, vi è dell’altro: le spettacolari immagini della Terra e del suo satellite e, soprattutto, i volti tesi, concentrati, commossi e impauriti, dei diversi protagonisti che si impegnarono a riportare a casa astronauti destinati a morte certa. Dietro a quel drammatico incidente e a quel clamoroso salvataggio, si riscopre un passato che, se riprendessimo i pensieri di Arendt, potrebbe inaspettatamente rivelare qualcosa del nostro oscuro e autodistruttivo presente.

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