Rafael Spregelburd è stato assai noto e apprezzato in Italia, una dozzina circa di anni fa, quando Luca Ronconi mise in scena al Piccolo due suoi testi, La modestia e Il panico, dei sette che compongono quella che il drammaturgo argentino chiama la sua Eptalogia di Hieronimus Bosch. Ovvero i sette testi dedicati ai «vizi» da catechismo civile che lui andava a indagare nella Buenos Aires della grande depressione politica ed economica, nella sua Argentina all’ inizio di questo secolo. La situazione oggi non è migliorata di molto, ma quei testi resistono solidamente a tutte le datazioni e a tutte le latitudini.

IN ITALIA erano stati pubblicati dalla Ubulibri di Franco Quadri che per primo da noi si era impegnato a farli conoscere; ora sono editi da Einaudi, sempre nella traduzione di Manuela Cherubini, che avendoli scoperti per prima, era andata alla fonte per approfondire e tradurre tutti quei sette lavori, in bilico tra i segni dell’Apocalisse e i sette peccati capitali, che vengono esplicitamente richiamati col dipinto di Hieronymus Bosch cui è intitolato l’insieme dell’opera.

DOPO quelle due visioni ronconiane (accompagnate anche allora dalla venuta in Italia di uno Spregelburd allora neopapà), quasi nessuno l’aveva più messo in scena da noi: ora lo stabile di Torino ha affidato Il panico (in replica fino al 9 al teatro Gobetti) a Jurij Ferrini, che ne è protagonista in due diversi ruoli, oltre che regista, e avendo già messo in scena un altro titolo dell’autore, Lucido. La sua lettura del testo è giustamente assai diversa da quella ronconiana. Ma non manca certo di vivacità e di curiosità: il ritmo è indiavolato, la compagnia dei giovani attori scatenata attorno alla madre impietosa cui dà vita Arianna Scommegna. Forse, magari per rendere più facile il divertimento allo spettatore di oggi (anche se in Argentina come anche nel resto del mondo la situazione non sia affatto più tranquilla e rassicurante di qualche anno fa) la regia gioca ad accentuare o sottolineare, attraverso gli interpreti, il comico parossismo nevrotico scatenato da una eredità di cui non si trova più traccia, dopo la morte del capofamiglia.

La redazione consiglia:
Spregelburd, i peccati capitali nella densità opaca di una morale off
Risultano così molto accentuati, e talvolta eccessivi, gli scatti caratteriali e le smorfie (e il volume delle voci) dei personaggi, anche se la «infondata» drammaticità, loro e delle loro azioni, renderebbe forse ancor più crudele e feroce il racconto. Ma detto questo lo spettacolo di Ferrini resta da consigliare e godere a nuove generazioni di spettatori del geniale e inesauribile Spregelburd. Che per altro già prepara per l’autunno un grande progetto a Parma con il Teatro due.