È uscito presso DeriveApprodi Per un atlante della memoria operaia, a cura di Lorenzo Teodonio e Mario Tronti (pp. 240, euro 19). Il lettore potrebbe aspettarsi un repertorio tra cronaca e storia. In realtà scopre subito fin dal primo dei ventuno testi (Memoria vivit, di Mario Tronti) che gli aspetti oggettivi sono intrecciati di proposito con le attitudini soggettive esercitate anche nelle forme dell’invenzione: una prova di letteratura operaia.

TRONTI AMMETTE un limite dell’operaismo. L’attenzione alla composizione sociale e politica della classe, sempre colta nel suo conflitto con la fabbrica e con la prassi complessiva del capitale, ha trascurato la dimensione esistenziale, la «quotidiana vita vissuta dell’operaio anche dentro la sua classe». Mentre «i borghesi le loro forme di vita le hanno ben coltivate e mirabilmente narrate» a noi «è mancata un’antropologia operaia». Abbiamo visto l’operaio in lotta, nella fabbrica e nella società ma ora «è il momento di vederlo dal di dentro, nel suo spazio umano, nel suo tempo di vita… nel flusso delle generazioni che si sono susseguite in quel luogo benedetto-maledetto, che è stato, che è, la fabbrica moderna».

Il libro sperimenta liberamente questa intenzione. I testi a carattere saggistico di tipo storico-economico non sono più di quattro o cinque. Marta Fana e Sergio Bologna ragionano sulla situazione attuale. La potenza delle lotte operaie aveva persuaso i capitalisti che concentrare grandi masse operaie nello stesso posto era un errore strategico. Così la produzione si è dissolta nella fabbrica diffusa e nei mercati del lavoro a basso costo. Ciò ha spento la rilevanza delle masse operaie ma ha allargato la condizione operaia al di fuori delle attività produttive. Nascono così nuovi antagonismi di cui si deve cogliere la dinamica in atto, anche in settori tradizionalmente estranei al conflitto sociale. Alessandro Leogrande interroga l’enigmatica, irrisolta transizione del Sud dal sottosviluppo al «senza sviluppo». Giuseppe Filippetta invece volge uno sguardo retrospettivo con un excursus dagli albori del movimento operaio alle lotte degli anni ’50.

PIÙ NUMEROSI I TESTI a vocazione letteraria o memorialistica. Il collettivo MentalMente propone un glossario polemico ma non privo di allegria. Tino di Cicco, Angelo Ferracuti, Simona Baldanzi, Eugenio Raspi, Alberto Prunetti, Giovanni Iozzoli, Rita di Leo, Marino Severini raccontano storie inventate e storie vere sulla variopinta realtà dei lavori precari, dispersi nello spazio e nelle condizioni sociali più diverse. La memoria del lavoro operaio scomparso resta come solido termine di confronto. E un confronto, Tina Babai Tehran inscena tra due testi di Calvino sulla condizione operaia, il primo del 1964, il secondo del 1980: solo sedici anni separano due mondi che non potrebbero essere più diversi. Ma l’arte non è solo letteratura e così c’è spazio per le arti figurative nei capitoli di Jacopo Galimberti, Pier Vittorio Aureli, Action30 e Giuseppe Filippetta. E un versatile musicista, Massimo Zamboni, ricorda i morti di Reggio Emilia del luglio 1960. Chiude il libro un piccolo repertorio fotografico di facce operaie proposto da Maurizio Maggiani.

La condizione operaia nella letteratura italiana potrebbe essere seguita, a titolo indicativo, attraverso la parabola dal lavoro tradizionale al lavoro precario: Tre operai di Carlo Bernari (1934), Metello di Vasco Pratolini (1955), Donnarumma all’assalto e La linea gotica di Ottiero Ottieri (1959 e 1962), Memoriale di Paolo Volponi (1965), Vogliamo tutto di Nanni Balestrini (1971), Tuta blu. Ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud di Tommaso di Ciaula (1978), La dismissione di Ermanno Rea (2002), e infine Works di Vitaliano Trevisan (2016).

SUL LAVORO OPERAIO pende un interrogativo implicito nel secondo comma dell’art. 4 della Costituzione: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società». Quali possibilità? E la scelta sarà libera o obbligata? Il lavoro operaio è una scelta o un destino? Si immagina facilmente la dignità del lavoro difficile e sofisticato dell’operaio professionale. Più arduo vederla nel lavoro anonimo e ripetitivo alla catena di montaggio, dove l’operaio è il servente della macchina. Quando l’amore del lavoro è sostituito dal rifiuto del lavoro, il capitalista rende il lavoro un miraggio e lo impone alle condizioni meno dignitose. Sullo stato delle cose presenti il libro riapre una prospettiva umana e letteraria che suona come un invito a chi vuole prendere la parola: fatevi avanti, narrate la vostra storia.