Antonio Paradiso, tra levità e pesanteur
Mostre La retrospettiva dedicata allo scultore a Santeramo in Colle (Bari), suo luogo di nascita: la personale sarà visitabile fino al 30 settembre presso Palazzo Marchesale
Mostre La retrospettiva dedicata allo scultore a Santeramo in Colle (Bari), suo luogo di nascita: la personale sarà visitabile fino al 30 settembre presso Palazzo Marchesale
Nato sulle rugose colline murgiane di Santeramo in Colle (Ba) nel 1936, Antonio Paradiso costituisce una presenza di grande rilievo nei percorsi della scultura contemporanea italiana. A lui è dedicata un’interessante retrospettiva nel Palazzo Marchesale della sua città di origine che consente di seguire le stagioni principali della sua traiettoria attraverso opere di medie e piccole dimensioni in ragione degli spazi dello stesso edificio. Sul finire degli anni Sessanta il grumo poetico di questo artista era emerso con il ciclo dei titanici Chicchi di grano: le elementari forme dei semi del cereale, ricavate dal carparo della sua Puglia, si stagliavano alla stregua di feticci in una nota galleria milanese.
In aperto dialogo con talune esperienze dell’Arte povera (segnatamente del suo segmento più mediterraneo) il titanismo, arcano e totemico, di queste opere lasciava intravedere in nuce larga parte del sentiero successivo di Paradiso, tutto volto intorno al rapporto (o conflitto) tra civiltà contadino/artigiana e civiltà industriale. Tuttavia la durezza di questa contrapposizione, avvertita in modo particolarmente acuto, se si considera l’impatto con la Milano degli anni Sessanta, dove Paradiso si era stabilito per frequentare l’Accademia di Brera, pare accrescere nel travagliato decennio successivo.
Sono gli anni in cui i suoi interessi antropologici lo portano a condurre frequenti viaggi nel Sahara dai quali nascono i noti Contenitori scientifici: raccolte di frammenti fossili, punte di frecce, schegge vegetali, alcuni delle quali esposte in mostra. Qui all’approccio neutralmente ordinatore, tipico delle scienze, Paradiso risponde con desolata amarezza ribandendo il suo convincimento in favore dell’esplorazione dell’humanitas intesa anche nel suo orizzonte etnografico. Con la celebre perfomance Toro e mucca meccanica, presentata alla Biennale di Venezia del 1978, nella quale lasciava che un enorme bovino si accoppiasse con una mucca metallica, l’opposizione tra i meccanismi del progresso tecnologico e le antiche pratiche contadine tocca un vertice d’inattesa drammaticità.
Ma Paradiso, tuttavia, intende subito i pericoli incistati nella dematerializzazione propria dell’atto performativo e comprende quanto sia più congeniale per le sue corde ritornare all’esperienza plastica. Questo significa l’esaltazione della techne della prassi scultorea, memore degli antichi saperi artigiani, ai danni alla tecnocrazia della modernità. Nascono così le sculture de Il Volo. Si tratta di enormi massi di pietra calcarea pugliese modellati allo scopo di evocare uccelli ad ali spiegate. La forma minima conferita a queste figure le apparenta non casualmente con i menhir, particolarmente diffusi in questo lembo d’Italia meridionale, ma dialoga contestualmente con le sollecitazioni provenienti da certe esperienze brancusiane. Intorno a questo nucleo tematico l’artista elabora moltissime opere ricorrendo a materiali differenti e utilizzando soprattutto l’acciaio corten per rovesciare la gravità delle sculture lapidee, sottraendo la sagoma del volatile dalle superfici metalliche che ne risultano così svuotate (alcune di esse sono visibili nell’atrio del Palazzo).
Gli anni Novanta segnano, ancora, il ritorno ai temi della prima maturità: in una piazza della città di Molfetta, l’artista allestisce un totem, significativamente intitolato Mausoleo a Icaro, inserendo un’automobile tra due massi di bianca pietra tranese. La vettura appare inevitabilmente schiacciata, fracassata: la rivincita, deliberatamente illusoria, della cultura artigiana sulla produzione seriale è compiuta. Non casualmente i periodici interventi di arte pubblica portano l’artista, negli ultimi due decenni, a dedicarsi alla realizzazione del Parco Scultura la Palomba, nei pressi di Matera. In questo luogo egli assiepa le sue ultime opere – tra le quali una nuova versione del Mausoleo a Icaro – in costante conversazione con le sbrecciate pareti della cava che ospita il parco, ribadendo quanto la fruizione pubblica costituisca elemento essenziale per la sua scultura lieve e monumentale, severa e ammonitoria.
La mostra Antonio Paradiso. Radici a cura di Cecilia Paradiso e Tina Sirressi è visitabile a Santeramo (Ba) – Palazzo Marchesale, fino al 30 settembre.
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