Apolide, senza patria, «una ‘signorina’ sola, mezza russa, mezza inglese, ebrea, artista, viaggiatrice solitaria e indipendente», da Londra, via Parigi e Nizza, Antonietta Raphaël giunge nel 1926 a Roma. Ha poco più di trent’anni. «Roma mi affascinava e mi appariva più bella ancora di tutte le descrizioni che avevo letto!», scriverà anni dopo. E ancora: «Giungere sulle coste mediterranee è stata per me una rivelazione. Mi sembrava di sentire vibrare i colori intorno a me…». Musicista, diplomata in pianoforte alla Royal Academy di Londra, a Roma si volge alla pittura: «l’insuperabile bellezza di questa città eterna svegliò in me un forte desiderio di riprodurla come la vedo io».

Affitta una stanza ammobiliata in via Capo le Case, nei pressi di piazza di Spagna, si iscrive a un corso di disegno del nudo all’Accademia Inglese e frequenta la Scuola libera del nudo di via San Giacomo, a pochi passi da piazza del Popolo. «Affronta il disegno con tutto il caparbio e ingenuo impegno, quasi infantile, che la contraddistingue» scrive la figlia Giulia ne La ragazza con il violino dove, in apertura, tratteggia questo ‘ritratto’ della madre: «Per anni ho creduto che fosse unica, diversa da tutte le madri, da tutte le donne che avessi mai incontrato. Diversa in tutto: nella lingua dall’accento assurdo e così astrusamente costruita, nei giudizi severi e senza appello, nell’aspetto così fuori del comune, nella mancanza di trucco, nel modo curioso e stravagante di vestirsi. Nell’assoluta indifferenza per il giudizio degli altri».

Alla scuola di via san Giacomo, Raphaël incontra Mario Mafai e Scipione. Meglio, dovremmo dire, Mafai e Scipione incontrano Raphaël. Mafai ha ventiquattro anni, Scipione ventidue e dalla perentoria presenza di Antonietta la loro pittura sarà segnata (ancora tre anni dopo, il 22 settembre 1929, Scipione scriveva a Marino Mazzacurati: «Antonietta seguita a farci vedere i sorci verdi»).

Antonietta e Mario nel 1926 hanno una prima figlia, Miriam. Poco dopo affittano una casa in via Cavour, presso il Colosseo. Un attico con vista sui fori. Scattata sul terrazzo, si conserva una fotografia che ritrae Raphaël sorridente, al cavalletto. Un ampio tappeto è steso come un lenzuolo ad asciugare al sole. Lei è in piedi, trionfante vien da dire, su una pelle di leopardo. Nell’esiguo bagaglio con il quale giunge a Roma, Antonietta ha portato il suo violino involto in un antico tappeto beduino e quella pelle di leopardo. Quel manto maculato e il violino finiranno «al Monte di pietà e mai riscattati», ci informa Giulia.

Ma il tappeto no. Con i suoi colori puri, gli aranci e i blu e i rossi di garanza e i neri, indica la sua congeniale tavolozza a Raphaël e fino, dirò, le suggerirà la maniera di recare il pigmento sulla tela: che si mantenga rilevato, con una sua scabrosità non solo allusa visivamente, ma percepibile al tatto. Dalla pittura di Raphaël, ciascuno a suo modo interpretando e mutando, Mafai e Scipione non sapranno tuttavia prescinderne. E dalla sua poetica.

La spoglia di quel felino distesa a terra, nel celeberrimo quadro di Scipione Il risveglio della bionda sirena, tra un pesce, fichi mezzi, un’ancora, una tortorella, un cane, perfino, un fiore ed una luna pallida sparsi in una luce ancora notturna, accoglie il corpo ancipite d’una donna non esile che innalza con la destra un pettine e il braccio sinistro muove nel gesto di chi chiede un’attenzione esclusiva. Antonietta racconta nel suo italiano avventizio d’una sirena da lei sognata («emergente dalle acque del lago di Perugia della bellezza squisita, con una specchia in una mano e un pettine nell’altra e mentre si specchiava si ravviandosi i bei riccioli d’oro, ammirava se stessa») e Scipione trasfigura Antonietta nella sua sirena.

La inderogabile, fatale presenza di Antonietta. Libero de Libero nel 1930, quando il quadro viene esposto, con estrema finezza scrive: «i fiori e i frutti si spaccano in sessi febbricitanti, e la luna calda fa da perno alla visione; la bionda sirena reduce da una fiera sottomarina prepara l’acconciatura per un viaggio alle isole non-trovate».