Antonello Cuccu, e l’asino vola
In un dipinto di Giovan Battista Castiglione (a Roma in questi giorni nella mostra Superbarocco), ci sono i preparativi per il sacrificio di ringraziamento a Jahvé dopo la fine del Diluvio: verranno immolati gli animali puri. L’asino è impuro e si salva ma si deve sobbarcare del trasporto degli oggetti utili per il rito: in primo piano c’è un asino, carico all’inverosimile, una dispensa ambulante, con il collo piegato che sembra quasi crollare sotto il peso degli oggetti: una padella per caldarroste, un bricco, un setaccio, una lucerna, pezze e tovaglie.
Ecco, pensate se invece di portare lui le cose diventasse un’immagine delle cose, se tutto questo peso che proverbialmente è in grado di portare, si trasformasse nel suo contrario e se invece di essere un comprimario (utile servitore nel mondo contadino o nomade, aiutante e trasporto di personaggi importanti nel mondo religioso) siano le cose a fargli da sfondo, insomma che lui si prenda, su stoffa, su parete, su ceramica, tutta la scena.
Non si monta la testa: l’asino non lo fa mai, mica è un cavallo, semplicemente dimostra che tutti i caratteri, reali e simbolici che gli si sono affollati attorno nei secoli, possono creare mondi e contesti inaspettati.
Coloro che per motivi diversi si sono occupati di questo animale dagli occhi ineffabili e dalle orecchie ineguagliabili questo lo sanno. Antonello Cuccu fa di più: lo rappresenta su oggetti di uso quotidiano, sdraio, tappeti, foulard, orologi… e li sparpaglia, nella mostra Asino Io – Le Arti applicate di AsinoRosso, in un’installazione giocosa e sorprendente nello spazio piccolo ma accogliente di Blocco 13 (via Benzoni, Roma), fino a fine giugno.
L’asino vola, si sa. Ma un conto è vederlo nel sopravvissuto murale di via Tor di Nona, un conto è vederne tanti fluttuare, azzurri e argento lunare sulla parete esterna di Blocco 13. Verranno cancellati poi per fare spazio ad altre installazioni, e la loro impermanenza ci ricorderà di un’utopia mortificata ma ancora necessaria.
E infatti AsinoRosso, il nome dell’impresa/progetto di Orosei, non rimanda tanto al mitico Seth, divinità distruttrice e principio di ogni rinascita, quanto ad una tenace resistenza quotidiana. Il logo è la rossa silhouette di un asinello dai profili morbidi con lunghe orecchie e una groppa stondata. La testa è china, come nelle rappresentazioni pittoriche quando mangia qualche erba spinosa in un momento di riposo, stabile icona della tenacia.
L’impresa è formata da Antonello Cuccu, Sebastiano Fideli, Fabio Genova e Marcello Salis. Produce oggetti di uso quotidiano in piccole serie, è molto legata al mondo dell’artigianato, soprattutto quello della ceramica.
Cuccu è nato a Bosa nel 1958. A Roma si è laureato in architettura, è stato responsabile didattico dell’Istituto Europeo di Design e ha vissuto fino al 1997. Poi il ritorno in Sardegna, art director della casa editrice Ilisso e creatore di immagini per Asino Rosso. La sua produzione è cangiante e multiforme come i supporti che usa. Determinante il legame con la Sardegna, con gli asini «molenti», i poeti (Cambosu), gli artisti (Lai). Ma anche forte il legame con Irene Kowaliska, la ceramista di origine polacche, a lungo attiva tra Vietri e Positano, oltre che in Sardegna. I suoi asini su piatti e su brocche sono poetiche figure della fatica che a volte si prendono la libertà di un carico leggero, un pesce, qualche limone. Anche questo è un modo per resistere. Non sarà un caso che l’Asino Rosso somigli loro tanto.
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