Antigone e il coraggio di morire vivi
Verità nascoste Monica Ferrando: «Sarantis, riprendo la nostra conversazione, partendo da un punto fermo. Smettiamo di includere Antigone nella tomba dell’eccezione, indispensabile alla legge positiva come suo fondamento rimosso, e di farne […]
Verità nascoste Monica Ferrando: «Sarantis, riprendo la nostra conversazione, partendo da un punto fermo. Smettiamo di includere Antigone nella tomba dell’eccezione, indispensabile alla legge positiva come suo fondamento rimosso, e di farne […]
Monica Ferrando: «Sarantis, riprendo la nostra conversazione, partendo da un punto fermo. Smettiamo di includere Antigone nella tomba dell’eccezione, indispensabile alla legge positiva come suo fondamento rimosso, e di farne la sua vittima sacrificale. In questo modo si seguita a consegnare al nichilismo ogni esigenza di politica giusta a venire. Riconosciamo invece in questa figura poetica, in cui come tu dici è vano cercare “coerenza e profondità psicologica”, il venire alla presenza del cuore puro e impavido della legge come suo centro vuoto. Solo a partire dall’apparizione dentro l’umano di un’esigenza di giustizia che vada al di là di ogni interesse personale ma coincida al tempo stesso col desiderio – si chiami questo punto di coincidenza ‘legge morale’ o ‘amore’ non possiamo, per quanto paradossale possa sembrarci, fare finta che non esista – la convivenza umana può darsi delle norme e nello stesso tempo non smettere mai di chiedersi se siano giuste, sapendo che sono umane.
E può farlo solo se tiene aperto e vuoto la spazio interiore che conferisce senso e possibilità a questa operazione di incessante e comune ripensamento. Le Leggi (Nomoi) di Platone, che aveva pensato eros come spinta inesauribile del pensiero, sono lo spazio di questa continua conversazione, inaugurata da Sofocle quando nel gesto materno di coprire di terra il morto indica l’autentica fonte del diritto, di cui la decisione sovrana, necessariamente arbitraria perché senza eros, è l’usurpazione.
Scevra di ogni arbitrio (finalità senza scopo dell’amore), interesse autoconservativo (senso del suo suicidio), programma politico (la felicità non è obiettivabile), ella indica il nomos umano al di qua di ogni decisione, come pura fons amoris. Come il nomos di Pindaro cantore della Madre corregge la forza, così la pretesa sovranità della decisione catafratta nell’armatura della legge positiva può esser denudata solo da un’erotica politica libera da ogni paura, cioè sovrana».
Sarantis Thanopulos: «Desiderio e giustizia coincidono nel punto in cui si regolano (trovano il loro “passo”) a vicenda, diventano l’uno la misura dell’altra e viceversa,. La coincidenza prende forma nello spazio del loro accoppiamento nella danza che crea il respiro, il ritmo del mondo. Hai ragione: è a partire da questa coincidenza che le regole della nostra convivenza possono abitare lo spazio aperto/vuoto dell’esperienza profonda, costituirsi insieme ad essa in un loro incessante ripensamento.
Lo Stato a cui Antigone si oppone, si fonda sulla legge come eccezione permanente alla giustizia e all’eros. Esso abolisce il conflitto che è il motore dell’una e dell’altro: solo colui che muore come fratello, diventando nemico, può davvero essere ritrovato (rinascere) e persistere come amico.
Nel fratello l’amico non è separabile dal nemico: il primo misura la presa, la portata del nostro desiderio, il secondo mette un argine al suo sconfinamento e lo rende giusto e godibile. Lasciare insepolto il fratello nemico morto, privandolo della mano materna della natura che lo vuole accogliere, significa distruggere il lavoro del lutto e rendere omertosa, alienante l’amicizia.
La decomposizione della morte infetta la vita. La condanna di Antigone di vivere reclusa in una tomba (con tutti mezzi necessari di sussistenza), è la prescrizione di un principio totalitario di sudditanza che riguarda tutti: dovete vivere da morti dentro, per tenervi in vita materialmente. Interpretare il suicidio di Antigone come resa nichilistica, sacrificale al potere dei morti viventi, è, in effetti, un grave errore che spoglia il gesto tragico della sua capacità di sospendere l’effettività, linearità dell’azione.
Uccidendo dentro di sé la tentazione, a cui si sottomette Ismene, di vivere come morta, Antigone separa la morte dalla vita e afferma la vittoria della seconda sulla prima. Muore da viva».
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