Antifascismo a tarallucci e birra
A teatro «Italienische Nacht», testo scritto nel 1931 da Odon von Horvath, si fa specchio del presente. Thomas Ostermeier dirige un perfetto e crudele marchingegno scenico
A teatro «Italienische Nacht», testo scritto nel 1931 da Odon von Horvath, si fa specchio del presente. Thomas Ostermeier dirige un perfetto e crudele marchingegno scenico
Non sarà un caso che nella magica notte in cui la capitale tedesca ricordava e festeggiava la caduta del Muro (come tutto il mondo ha potuto vedere), alla gloriosa Schaubühne in Lehniner Platz (sì, proprio piazza Lenin), riconosciuto come uno dei migliori complessi teatrali europei, il suo direttore Thomas Ostermeier abbia programmato per questo «festoso» trentennale uno spettacolo nato pochi mesi fa, molto interessante e «coinvolgente» per la Rft come per tutta l’Europa, e moltissimo anche per l’Italia. Il titolo è Italienische Nacht, scritto nel 1931 da Odon von Horvath, scrittore e commediografo austriaco, di origine ungherese ma nato a Fiume, e stabilitosi poi a Berlino negli anni 20. Fuggito dal nazismo, ebbe in sorte di morire a Parigi nel ’38, colpito sugli Champs Elysées da un ramo fatto volare da un nubifragio. Un autore rinomato in Europa, ma poco frequentato dal teatro italiano, se si escludono Valeria Moriconi e Franco Enriquez tanti anni fa, e più recentemente Massimo Castri con uno struggente e crudele Fede Speranza e Carità.
E INVECE questo figlio vagante e accorto dell’Europa primo 900, aveva lo sguardo aguzzo, e una lungimirante sensibilità politica. Cui Ostermeier rende ora pienamente il suo spessore, lasciando intatta la struttura e la visione preveggente del testo, solo adeguando a oggi le parole dei dialoghi, e il sound delle musiche. Il testo è stato realizzato dentro una ideale trilogia che comprende altri due titoli: Il professor Bernhardi e quel Ritorno a Reims di cui è rappresentata ora a Milano la produzione italiana del Piccolo di Milano (sempre a firma dello stesso regista, da mercoledì prossimo a Roma all’Auditorium).
TUTTO SI SVOLGE, in quella «notte all’italiana», in una osteria/birreria tedesca, dove scorrono i bicchieri e ancor più le chiacchiere e i passi di danza. Vi si tiene una festosa riunione del locale partito di sinistra: militanti giovani e più maturi si chiamano tra loro «compagni», il loro fine è lo sviluppo della socialità e dei diritti. Tra loro «brilla» (non nelle danze né nei pensieri sulla democrazia), quello che è il piccolo leader locale, il segretario della locale sezione socialdemocratica. Ma mentre inciampa e strattona le sue dame (tra cui la moglie, che approfitterà di quella notte per chiarire i loro rapporti), non riesce a elaborare, e neanche a leggere, il discorsetto che si era preparato. Si gioca a carte, e tra una birra e l’altra il malessere cresce dall’imbarazzo, soprattutto tra i più giovani. Perché quella stessa notte, anche i fascisti ancora sparuti ma molto più agguerriti, vogliono usare quella stessa osteria per una loro riunione. E fanno sentire la loro voce coi pugni sui vetri e gli slogan urlati, mentre dentro si intrecciano debolezze e finte astuzie di chi sottovaluta il pericolo nero, anche perché non ha granché da dire sul proprio fronte. Al massimo si unisce storpiatamente alle canzoni, cantate in coro assieme all’orchestrina intraprendente, da Azzurro a Bella ciao. Una serata davvero «a tarallucci e birra», sottovalutando il nemico nero che intanto cresce nei consensi del paese, e senza elaborare una qualsivoglia idea progettuale e battente per la propria parte. Solo parole, e qualche «gaffe» davvero atroce, come l’uso strumentale delle proprie ragazze, che con i giovani fasci sfocia in violenza sessuale.
L’ORCHESTRINA dei pifferai imbonitori procede instancabile (ed in effetti è divertente e irresistibile) a dare il tempo a quel carosello insensato dove non si sa per chi parteggiare. Anche perché quel testo d’epoca Weimar suona come tragica fotografia dell’oggi, anche se ben radicato nel momento in cui Hitler stava per prendere il potere in Germania, e Mussolini da pochi anni aveva fatto la stessa cosa in Italia.
OGGI in tutta Europa quel rischio si ripete, con la confusione della sinistra più o meno consapevole, e l’aggressività della destra verso le «mani libere» e i pieni poteri. Ostermaier ha stralciato forse qualche dichiarazione dai politici di oggi, da una parte come dall’altra, per dare senso più compiuto e incisivo al testo di Horvath. Ma la grandezza dello spettacolo sta nella crudele rappresentazione che il regista, con i suoi ottimi attori, ci dà con il ruotare dell’intera scenografia della taverna, scoprendone il dentro e il fuori, un marchingegno spesso già usato nei suoi spettacoli passati. Un valzer apparentemente ineluttabile, la cui lezione continua pericolosamente a ripetersi.
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