Prosperità, nazione, sviluppo, armonia, civiltà, spirito, popolo e democrazia: sono le otto parole che Beatrice Gallelli, professoressa di lingua e traduzione cinese alla Ca’ Foscari e di sociologia dei paesi asiatici all’Alma Mater Studiorum di Bologna, ha scelto per raccontare la Cina contemporanea nel suo volume La Cina di oggi in otto parole (Il Mulino, pp. 190, euro 14).

SI TRATTA DI PAROLE che citiamo spesso, non solo associate alla Cina, e che rappresentano una cartina di tornasole per capire una delle caratteristiche principali di Pechino, ovvero la capacità di rimanere salda a accezioni radicate nel tempo, evolvendone al tempo stesso l’utilizzo. L’uso di questi termini, inoltre, permette a Gallelli di passare in rassegna la storia cinese della Repubblica popolare, ancorandola al passato e provando a scorgerne elementi cangianti nel nostro prossimo futuro. Considerando la velocità con la quale la Cina è solita procedere, del resto, le trasformazioni, anche nell’utilizzo di alcune parole, sono frequenti. La prima, «prosperità» o meglio fuqiang, «prosperità e potenza», risulta appropriata esattamente in questo momento, ovvero quando in Cina è tornato con prepotenza l’utilizzo dell’espressione «prosperità comune» a seguito di un discorso di Xi Jinping del 17 agosto.
Il concetto di fuqiang, scrive l’autrice, «è anche chiamato a definire le caratteristiche della Cina una volta che essa avrà realizzato il suo sogno di rinascita, ovvero quando, nel 2049, si sarà trasformata in un ‘moderno e forte paese socialista, che sia prospero e potente, democratico, culturalmente avanzato, armonioso e bello».
Si può intuire quindi una connessione costante tra gli otto vocaboli scelti da Beatrice Gallelli, così come la rilevanza di esplorarne il tenore per i cinesi; constatazione che nasce dal loro impiego in associazione alla Cina e al contempo dando per scontato il «nostro» significato. Un esempio lampante e descritto in modo molto chiaro nel volume è il termine che – in superficie – potrebbe apparire più strambo, se affiancato alla Cina, ovvero «democrazia».

SI TRATTA DI UNA PAROLA utilizzata di recente in modo piuttosto evidente da funzionari del Pcc, proprio a rimarcare un concetto di democrazia presente anche nella storia cinese. Gallelli ricorda i meccanismi democratici classici – non senza inconvenienti – ai livelli politici più bassi, per poi indagare il concetto di democrazia consultiva socialista. Non si tratta, naturalmente, di una comparazione con il concetto occidentale, quanto di esplorare l’accezione che il Pcc ha dato nel tempo a questa parola. In questo caso, inoltre, siamo di fronte a un gioco dialettico e geopolitico.
Scrive Gallelli: «L’esperienza degli ultimi anni delle democrazie cosiddette occidentali, soprattutto quella Usa, è usata dal Pcc allo scopo di reclamare la superiorità del sistema cinese e presentarlo come modello di governance più efficiente». C’è dunque un richiamo costante a noi: la Cina ha le proprie caratteristiche ma la sua evoluzione come soggetto politico all’interno dei meccanismi economici internazionali, l’ha assolutamente posta all’interno di una riflessione comune, globale.

COME RICORDA nella conclusione l’autrice, infatti, alcune delle parole scelte (nazione, sviluppo, armonia ad esempio) rientrano in nodi politici di cui ci si occupa da tempo in Occidente. Torna qui – e Gallelli utilizza in questo caso le parole di Angela Pascucci – quel concetto di «specchio» cinese: luogo nel quale l’Occidente ritrova talvolta se stesso, nuove soluzioni, pericoli da scampare e troppo spesso paure che sono molto più nostre che cinesi.