Antidoti alla sprezzante semplificazione del presente
SCAFFALE «Conversazioni tra un poeta e un economista», di Franco Dionesalvi e Pierangelo Dacrema per All Around
SCAFFALE «Conversazioni tra un poeta e un economista», di Franco Dionesalvi e Pierangelo Dacrema per All Around
L’idea è innovativa. Mettere a confronto un economista e un poeta. Non certo ospiti di un noioso talk show, bensì protagonisti in un volumetto denso e intenso di fitto dialogo tra il tecnico e il pensatore. Franco Dionesalvi e Pierangelo Dacrema in Conversazioni tra un poeta e un economista (Edizioni All Around, pp. 128, euro 15) si cimentano in un compito stimolante e improbo al contempo. L’idea di base è che l’economista gode in questo tempo di grande potere e credibilità, ma in quanto tecnico, non in quanto pensatore. Lo stereotipo che lo contraddistingue è, infatti, quello di un seguace del libero mercato. Il poeta di contro, in un mondo dominato dalla Rete, è un soggetto fuori dal tempo, un anacronistico e inefficiente giocoliere di parole. Nel loro confronto e carteggio (svoltosi tra il 2020 e il 2022 prima della prematura scomparsa di Dionesalvi), la nostra esistenza è qualcosa di più importante: «Che noi siamo nati per vivere e gustare la Bellezza, per cogliere ed esprimere armonia. Senza di ciò la vita sarebbe davvero poca cosa».
PER TESTIMONIARE simbolicamente la bellezza gli autori hanno scelto la poesia, «la più povera, la più gratuita di tutte le arti. E che per questo sa fornire le parole alle emozioni, ai desideri, agli slanci e ai bisogni più intimi e alla fine più significativi della natura umana». L’economia, da parte sua, è l’attività che dovrebbe portarci verso la libertà dai bisogni (almeno quelli primari). Ma come distinguere i bisogni materiali dai desideri e dalle aspirazioni? Come tracciare una cesura tra la libertà fisica, quella intesa in senso stretto, e la libertà intellettuale e morale? «La nostra economia è lontana dall’aver prodotto risultati eccellenti o anche solo soddisfacenti. Che ancora non sia riuscita a risolvere il problema economico mondiale è sotto gli occhi di tutti». Ma è pure evidente come si sia ingegnata a ostacolare una vera libertà spirituale in una larga parte del pianeta.
Il modello economico-finanziario imperante, infatti, si fonda sulla formidabile efficacia di un marketing ossessivo che ci impone cosa, come e quando consumare. E, di conseguenza, anche chi e in che misura arricchire o impoverire. Che fare, allora, se è lecito continuare a credere in un’umana, insopprimibile, propensione alla libertà? Resta la possibilità di appellarsi all’arte, di chiedere aiuto alla parte eccellente dell’economia, come questa identicamente sottoposta al paradigma «pensiero-volontà-azione», da essa distinta da una differenza di grado, di intensità, non di natura. «E se lo scopo, un’economia più giusta e vivibile, quale forma dell’arte è più appropriata per perseguirlo di quella rappresentata da letteratura e poesia, da un uso mirato e ispirato della parola?» Per queste ragioni Dionesalvi e Dacrema avviano un ragionamento critico sull’attuale sistema economico, un modello di sviluppo colmo di eventi e oggetti ma povero di vita interiore.
«NULLA PIÙ di una conversazione adatta, si spera, a volgere lo sguardo verso un futuro più dignitoso per la nostra società. Poiché in economia il pensiero è azione». Urge dunque «una economia più poetica». Il volume è anche un viaggio a ritroso nel tempo. Volto a scoprire quale sia stato il rapporto con la poesia, con il mondo delle lettere e dell’arte, di grandi economisti come Adam Smith e John Maynard Keynes, e quale il rapporto con l’economia, con una così vasta e articolata dimensione della vita, di poeti come Dante, Leopardi, Rimbaud, Pound.
Avendo chiare le tradizioni delle due discipline, l’economista e il poeta si soffermano sulle incongruenze della contemporaneità, ponendo prepotentemente l’accento sulla mediocrità dei risultati raggiunti dall’attuale modello economico. In cui sono sempre più in aumento gli squilibri e, conseguentemente, «le vittime dell’economia e della cultura dello scarto».
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