Attenzione, scrittrici e scrittori finalisti allo Strega, al Campiello e ai mille premi che tra la primavera e l’estate si moltiplicano, insieme alle zanzare e alle ciabatte infradito! Se credete che vincere vi cambierà la vita, ebbene, forse avete ragione, ma non è detto che sia per il meglio. Così è, almeno secondo Annie Ernaux, ultima destinataria del più celebre e (forse) autorevole dei riconoscimenti letterari, il Nobel, che nella sua storia ultracentenaria è stato rifiutato solo da Jean-Paul Sartre (era il 1964, tutta un’altra epoca).

Dialogando con la collega irlandese Sally Rooney al festival di Charleston, Ernaux – scrive Amy Raphael sul Guardian – non ha usato mezzi termini nel raccontare gli effetti che il Nobel ha avuto su di lei: «Sarò brutale: ho ricevuto un premio che non ho mai voluto. Il Nobel mi è caduto addosso come una bomba, una sorta di enorme cesura: da quando l’ho vinto, non riesco più a scrivere, e scrivere per me ha sempre rappresentato il futuro». Tranne poi ammettere a malincuore che sì, in effetti «il Nobel è un grande riconoscimento» e che a toccarla sono soprattutto le conversazioni con le persone che si riconoscono nei suoi libri: «Ho la sensazione che il premio non sia solo mio, ma di tutti noi, e questo è importante per me».

Sarà un caso, ma mentre Ernaux esternava le sue riserve sul Nobel, qualcosa di simile scriveva sul New York Times Roger Rosenblatt, noto giornalista statunitense, divenuto poi romanziere e saggista a tempo pieno (in Italia due suoi libri sono editi da Nutrimenti). Rosenblatt, tra l’altro coetaneo di Ernaux (entrambi classe 1940), ha vinto vari premi durante la sua carriera – il più recente, in aprile, la prestigiosa Guggenheim Fellowship. Non per questo il suo giudizio è meno tagliente: «I premi servono a qualcosa? Sono questioni di apparenza o hanno un senso reale? Motivano o ottundono? Se Copernico, Galileo, Vermeer o van Gogh avessero ricevuto dei riconoscimenti, non c’è il rischio che gli effetti sarebbero stati tremendi? E che dire, se Beethoven, dopo aver avuto un premio alla carriera per la Quarta Sinfonia, avesse smesso di comporre?».

Anche Rosenblatt, comunque, confessa che «ricevere la Guggenheim Fellowship è stata una bella sorpresa» e che «in fondo già l’esistenza dei premi implica che c’è una cosa come la bravura – il che, in un mondo che si sta distruggendo ogni giorno, significa che possiamo fare di meglio che non prenderci a pugni a vicenda».
Tutto vero. E sarà per questo, o sarà perché anche i più acerrimi odiatori dei premi, quando si ritrovano in una cinquina, iniziano a tempestare di telefonate i giurati, quasi non passa giorno che non spunti un nuovo riconoscimento. Ancora sul Guardian Sarah Shaffi annuncia che la catena di caffetterie britannica Caffè Nero (si chiama così, all’italiana) lancia un premio letterario, un anno dopo che la concorrente Costa aveva deciso di sospendere il suo. E come già i Costa Awards, pure i premi targati Caffè Nero andranno a testi di narrativa e di saggistica, a opere prime e a libri per bambini, mentre mancherà, almeno nell’edizione inaugurale, la poesia.

Ma la notizia vera è che il 2023 segna la nascita dei TikTok Book Awards. Lo annuncia la stessa redazione di TikTok, dopo aver ricordato, casomai a qualcuno fosse sfuggito, che «nell’ultimo anno, l’hashtag #BookTok è cresciuto di oltre il 160%, superando i 138 miliardi di visualizzazioni, e non accenna a fermarsi!». Per ora il premio è limitato a Regno Unito e Irlanda, ma mai dire mai: gli emuli italiani di Erin Matilde Doom hanno una buona ragione in più per inondarci di parole. Starà a noi schivarle.