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Annegati a un passo dall’Europa

Annegati a un passo dall’EuropaLa tragedia a Sampieri – Gianni Mania - Reuters

Immigrazione Tredici migranti, eritrei e somali, partiti dalla Libia muoiono sulla spiaggia di Scicli, «gettati in acqua a frustate dagli scafisti»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 1 ottobre 2013

Da queste parti si muore per il tempo di un ciak, per necessità di trama, per volere di romanzieri e ordini di regia. Ieri non è andata così: tredici uomini sono stati adagiati sulla spiaggia di Sampieri, a Scicli, nei luoghi che solitamente ospitano i set del Commissario Montalbano, e non si sono più risvegliati. Sono morti per sempre, annegati davanti alla riva dove la loro piccola barca si è incagliata alle 10 del mattino, in un posto che si chiama Fornace del Pisciotto, decantato dalle guide turistiche per le sue bellezze.
Nella piccola Hollywood siciliana si è compiuta la tragedia, davanti ai pochi bagnanti che non credevano ai loro occhi: uno dei testimoni ha raccontato che lo scafista della barca azzurra di dieci metri, intento a orientare la prua verso il largo e a dare motore, nel frattempo colpiva con una cima o una cintura dei pantaloni, chissà, i poveri migranti che esitavano a buttarsi in acqua perché non sapevano nuotare e perché le onde erano alte. Scene di un altro secolo, di ere consegnate alla vergogna della storia. E invece è accaduto il 30 settembre 2013, ieri, sulla sponda europea del Mediterraneo, dove i circa 150 sopravvissuti – tra loro venti bambini e una donna incinta – hanno lasciato che i morti seppellissero i morti e, stremati, si sono dati alla fuga per non finire in una di quelle prigioni che un mendace vocabolario si ostina a chiamare centri d’accoglienza.
E dopo la fuga ecco l’altra tragedia: uno dei migranti che stava tentando di scappare è stato investito da un’auto e nella serata di ieri è stato trasportato in eliambulanza al Cannizzaro di Catania, in gravi condizioni; dell’automobilista non si sa nulla: si è dato alla fuga. Mentre il pirata della strada si dileguava, i sommozzatori cercavano altri eventuali cadaveri in acqua e un carabiniere, il maresciallo Carmelo Floriddia, 41 anni, due figli, aiutato da un paio di ragazzi portava a riva nove persone, sei delle quali prive di vita. «Pesavano cento chili – ha detto – a causa dell’acqua che avevano ingoiato. Ho strappato una cima e un coltello dalle mani di un uomo, credo uno scafista, che frustava e minacciava i migranti per costringerli a scendere in acqua, incurante della loro disperazione, dei loro pianti».
Altri tredici morti in quest’inizio d’autunno, dopo le sei persone annegate lo scorso 10 agosto sulla Plaia di Catania: anche in quel caso una barca s’era incagliata a pochi metri dalla riva, all’alba, mentre i dipendenti del lido preparavano sdraio e ombrelloni.
Per Fortress Europe le vittime di naufragi nel Mediterraneo, a partire dal 1994, sono 6.200, due terzi dei quali mai recuperati. Ma sono numeri per difetto. Per l’Unhcr, infatti, la stima aumenta sensibilmente e supera i 15 mila morti, mentre lo scorso luglio papa Francesco, durante la sua visita a Lampedusa, ha parlato di 20 mila morti. E monsignor Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes, spiega che nel solo 2013 il Mediterraneo ha ucciso un migrante al giorno.
Intanto, l’Italia e l’Europa stanno a guardare, dice Nichi Vendola. «E’ raccapricciante l’idea che nel terzo millennio si possa morire in pochi metri d’acqua e sotto i colpi di frusta dei moderni negrieri».
Sul barcone giunto a Scicli viaggiavano tra i 150 e i 200 migranti, partiti dalla Libia. A bordo c’erano prevalentemente ghanesi e nigeriani. Dopo la fuga un centinaio è stato bloccato dalle forze dell’ordine e trasferito a Pozzallo. Secondo uno dei sopravvissuti, un eritreo di 23 anni, le tariffe ormai sono da saldo: tra i trecento e i mille euro, da un decimo a un terzo rispetto ai prezzi praticati fino a poco tempo fa dai mercanti di uomini. Scicli doveva essere una tappa di transito, sempre secondo il racconto del giovane eritreo: «Io – ha detto con l’ingenuità dei suoi anni – sono diretto in Germania», prima che i carabinieri lo conducessero su un furgone. E anche i suoi compagni pensavano di superare i confini italiani, rassicurati dagli scafisti che avevano scelto l’approdo di Scicli perché privo di controlli.
Un’altra tragedia è stata sfiorata nella notte nel Canale di Sicilia: quattordici tunisini, senza meta e senza bussola, sono finiti contro gli scogli dell’isolotto disabitato di Lampione, nelle Pelagie, lungo la rotta che avrebbe dovuto condurli a Lampedusa su un gommone riparato col mastice e spinto da un motore di pochi cavalli. Sono stati soccorsi con un elicottero munito di infrarossi, che li ha portati su con un verricello: le condizioni del mare non avrebbero consentito a nessuna imbarcazione di avvicinarsi alla costa. E nel pomeriggio un cargo battente bandiera liberiana ha condotto a Trapani 107 migranti racconti nel Mediterraneo su un altro gommone in avaria.

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