Anne Griffin, un traghetto nelle nebbie della memoria
Scrittrici irlandesi Rispondendo a un indecifrabile richiamo, una donna che non vuole rassegnarsi all’idea che la figlia smarrita sia morta torna nei luoghi della sua infanzia: «L’isola della nostalgia», da Blu Atlantide
Scrittrici irlandesi Rispondendo a un indecifrabile richiamo, una donna che non vuole rassegnarsi all’idea che la figlia smarrita sia morta torna nei luoghi della sua infanzia: «L’isola della nostalgia», da Blu Atlantide
L’Irlanda è terra di sparizioni: come testimoniano tanti esempi letterari, dei bambini scomparsi veniva abitualmente data la colpa ai fairies, che diversamente da quanto ci hanno trasmesso tante traduzioni, non sono rassicuranti folletti, bensì spiriti spesso cattivi, che abitano una dimensione parallela e impalpabile. Ma sono molti anche i racconti in cui genitori messi di fronte a un repentino mutamento del proprio bambino, improvvisamente irriconoscibile nel suo comportamento, pensano sia stato scambiato da qualche spiritello di passaggio. Per quanto perturbante, questo immaginario trova nella realtà di tutti i giorni un suo corollario effettivo: i missing children sono stati centinaia, nell’Irlanda degli ultimi anni, così come in tanti altri paesi, dove ai locali si aggiungono i tanti minori stranieri.
Quando la narrativa si occupa di simili questioni, è spesso per speculare sullo scalpore che sono in grado di suscitare: da questo pericolo scarta, con tutta evidenza, il romanzo della scrittrice dublinese Anne Griffin, L’isola della nostalgia (traduzione di Bianca Rita Cataldi, Atlantide, pp. 352, € 19,00), che in una frase tratta dai ringraziamenti finali dice: «sono grata alle famiglie di tutti gli scomparsi in Irlanda». C’è da restare sconcertati: questo libro complesso, fatto di solitudini e isolamenti, deve molto del suo fascino, infatti, a quelle tragedie tanto più spaventose perché hanno in comune qualcosa con la ineffabilità della scomparsa.
Pochi i dettagli a disposizione per orientarsi nel romanzo: il passato della vicenda contempla la sparizione di un’adolescente, ma nel presente tutto concorre a tacitare quel fatto, che come ogni trauma torna tuttavia continuamente a galla, avvolgendo il presente in una nebbia strana. Tra le righe di questa narrazione elegante, che prevede l’incastonarsi di microstorie nel panorama generale di un dolore con cui fare i conti giornalmente, è tutto un vedere e un non vedere. L’ambientazione è, per gran parte, in un’isola modellata su Cape Clear, luogo magico e meraviglioso a sud di West Cork in cui è tuttora preservata una importante comunità di parlanti nativi irlandesi. Il luogo è anch’esso stretto tra solitudine e isolamento, due termini la cui radice rimanda evidentemente all’idea di «suolo», ma la cui più lontana etimologia pare fosse accostabile a quella di mare: ne deriva loro una qualche ambiguità, se è vero che «solitudine» rimanda a una condizione spirituale, mentre «isolamento», chiama in causa lo spazio.
Se in alcune isole irlandesi è stato possibile preservare l’uso della lingua autoctona, lo si deve proprio a quel misto di solitudine e isolamento in cui si trovano: nell’immaginario letterario, da J.M. Synge in poi, si tratta di spazi dell’anima dove ritrovare un contatto con la parte archetipica e inconscia del sé: con la propria penombra. Proprio questa funziona – nel romanzo di Griffin – come elemento da cui trarre la cura della propria psiche, non prima di essere passati attraverso i propri incubi. Anche un oggetto inanimato, il traghetto Aoibhneas, che in irlandese sta a significare «gioia, beatitudine», si offre a consentire il viaggio verso la cura. Per Rosie Driscoll, la protagonista, la sua presenza è salvifica: «di notte sognavo l’acqua, i suoi rotoli di seta che in un istante potevano scatenarsi in una furia schiumosa. Mi ritrovavo al timone di Aoibhneas, lo stomaco agitato per l’eccitazione». A differenza di altri suoi congiunti, Rosie non vuole rassegnarsi all’idea che la figlia smarrita sia morta. Torna dunque nei luoghi della sua infanzia e della adolescenza, non per riviverle, bensì rispondendo a un indecifrabile richiamo, che non riesce a decodificare. Caparbia e fragile a un tempo, da piccola Rosie ha imparato a guidare il traghetto del padre che fa la spola dall’isola alla terraferma, maturando così un rapporto con l’imbarcazione quasi sentimentale, di certo simbiotico. La vita in cui Rosie si ritroverà, più che una cartolina dal passato è quel passato, esattamente com’era: stesse persone, stesse piccole invidie, stesse amicizie profonde. Nella tipica esistenza delle isole e degli isolotti che costellano la costa irlandese, si rivela un misto di senso della comunità e di attaccamento alle tradizioni minime di ogni giorno, che funziona anche da portale della comunicazione con le radici ancestrali dell’essere umano.
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