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Anna Bassy: «Oggi c’è forse troppa musica, è sempre più difficile emergere»

Anna Bassy: «Oggi c’è forse troppa musica, è sempre più difficile emergere»Anna Bassy – foto di Anna Bassy foto di C. Bortolazzi

Musica Incontro con la cantante veronese in tour

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 agosto 2023

Vincitrice dell’Arezzo Wave 2022 con il suo pop intriso di r’n’b, due ep all’attivo intitolati (Monsters e Genesi), anni di live in palchi prestigiosi della scena indipendente. Anna Bassy, veronese classe 1988, è una delle giovani cantautrici italiane più promettenti del momento. E vanta già una collaborazione con Gianluca Petrella.
«Questa collaborazione mi ha portato a suonare in alcuni festival jazz, un mondo che visto da fuori intimorisce sempre e che non è fra i miei principali riferimenti. Infatti, quando Gianluca mi ha contattata, non ero convinta… sicuramente c’era una buona dose di soggezione. Lui però pensava che avremmo trovato un modo di far dialogare i nostri mondi. E aveva ragione».

Oltre alla collaborazione con uno dei trombonisti jazz più importanti a livello internazionale, nel 2022 è stata selezionata per il Keychange Programme, un progetto europeo che promuove le minoranze, quindi donne e identità non binarie. Cosa significa essere una musicista oggi?

Parlando della questione, sono sempre un po’ in difficoltà, perché è difficile capire cosa ricondurre all’esterno e cosa a me. Sicuramente grazie ai laboratori di Keychange ho ritrovato nell’esperienza di molte colleghe cose che mi sono capitate: si tratta di piccoli dettagli, come quando a un festival ti accorgi che sei una minoranza, perché nella line up ci sono 3 musiciste donne e 30, 40 uomini. Secondo me una ragazza che vuole fare musica si pone molte più barriere mentali, è meno libera dei colleghi maschi, meno sicura.

In effetti maschi o femmine, chiunque si muova al di fuori dei circuiti commerciali non ha vita facile. Qual è secondo lei lo stato di salute della scena indipendente italiana?

Oggi c’è talmente tanta musica che è sempre più difficile emergere, perché secondo me c’è un problema di sostenibilità, che rende difficile essere continuativi. Per esempio, se coinvolgo dei professionisti, devono essere retribuiti il giusto. Il mio progetto lo porto avanti perché ci credo fermamente e sento di doverlo fare, ma è difficile. La cosa che mi consola è che, se mi guardo indietro, vedo una crescita.

Lei è di origine metà italiana e metà nigeriana, esprimequindi una vocazione multiculturale, che, si voglia o no, rappresenta il futuro: è un onere o un onore?

È entrambe le cose. È un grande onore, perché queste mie origini miste sono buona parte del motivo per cui faccio musica e di come la faccio, fanno parte della mia identità. C’è anche un grande senso di responsabilità… forse ingiustificato perché comunque è musica e dovrei concentrarmi su quello. Però, per quanto non voglia forzare quest’aspetto, anche solo la mia immagine lo veicola. Poi, a volte c’è il rischio che ci sia una strumentalizzazione e che io sia vista solo per le mie origini, come può accadere quando si costruiscono contesti protetti e settoriali, per esempio di musica al femminile o, appunto, multiculturale. Io vorrei semplicemente che la musica fosse più universale, così dovrebbe essere.

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