Venti cortometraggi autoriali realizzati con la tecnica pittorica, in gara per il Premio Guttuso, aprono l’8° festival internazionale del film animato «Animaphix», che si svolge in due parti. La prima (29-31 luglio) a Bagheria, presso Villa Cattolica dove ha sede il Museo Renato Guttuso, è dedicata unicamente alla pittura animata (esposizioni, proiezioni, cine-concerti). La seconda (12-16 ottobre) si svolgerà presso i Cantieri culturali della Zisa a Palermo e riguarderà tutte le altre sezioni e retrospettive.

Intanto c’è quella integrale e un cine-concerto delle opere dell’artista canadese Thomas Corriveau – ospite anche di una residenza d’artista – la cui produzione audiovisiva esplora la figura umana interessandosi al corpo danzante con strutture ripetitive in loop animati. Dagli anni ‘80 le sue opere sono esposte sia all’estero che in Canada, incluse 15 opere pubbliche integrate nel Québec. Per la residenza realizzerà un video animato con la tecnica pittorica, condividendo il processo creativo e produttivo con la comunità locale. I dipinti che fungeranno da fotogrammi per la creazione dell’opera finale saranno esposti nella sala delle mostre temporanee del museo, mentre il video sarà proiettato nella serata conclusiva del 31 luglio.

Un omaggio speciale è dedicata alla regista francese Florence Miailhe, maestra nel realizzare con tempere, pastelli o sabbia scene direttamente sotto la camera. Specializzata in incisione alla Scuola nazionale di arti decorative, Miailhe ha iniziato come disegnatrice, dirigendo nel 1991 il suo primo cortometraggio, Hammam, storia sensoriale della prima volta in un bagno turco. Au premier dimanche d’août (2002, premio César per il miglior corto) è una ballata in cui i corpi si fanno trasportare dalla pittura, sublimati da raffinate oscillazioni di colore. In retrospettiva anche Sherazade (1995) e Conte de Quartier (2006, menzione speciale a Cannes), storia di sette personaggi le cui vite si intrecciano lungo le vie di un quartiere di periferia. Nel 2015 ottiene il Cristal d’honneur al Festival del Cinema d’Animazione di Annecy per la sua opera omnia. Il suo ultimo lavoro è La Traversée, in cui due fratelli separati dalla loro famiglia devono affrontare da soli l’esilio e le sue conseguenze. Di tutto questo abbiamo parlato con l’autrice.

«La Traversata» è il tuo primo lungometraggio. Quali sono le principiali differenze che hai incontrato nel passaggio dal formato corto?
La differenza fondamentale è stato lavorare in squadra, che implica una preparazione del film più importante di quello che faccio abitualmente per i miei cortometraggi, quando sono sola. Sapevo che non avrei fatto io stessa l’animazione e che occorreva precisare tutto per trasmettere le mie intenzioni alla squadra. La parte di improvvisazione che mi concedo sui corti è estremamente ridotta sul lungometraggio. Quello che non è cambiato sono le mie esigenze, anche se è stato talvolta difficile. E naturalmente di fare il film in animazione diretta sotto la macchina.

Di sicuro ne «La Traversée» si parla molto di più.
Il passaggio al lungometraggio implicava anche di lavorare sulla psicologia dei personaggi. È la prima volta che ci sono dialoghi in un mio film, assieme alla voce off. La consegna era innanzitutto di raccontare solo quello che l’immagine non poteva dire. Con la sceneggiatrice Marie Desplechin, abbiamo cercato di asciugare il più possibile i dialoghi e le voci off affinché il film non fosse troppo didascalico o verboso.

Come hai costruito questa storia di rifugiati ispirata all’attualità, ma carica anche di atmosfera fantastica?
Ho chiesto a Marie Desplechin, con cui ho una complicità trentennale, di lavorare con me sulla sceneggiatura. Mi piace navigare fra l’osservazione del reale e le fiabe e Marie mi segue su questo terreno. Abbiamo pensato a Ulisse, Pollicino, Hansel e Gretel, Aaron Appelfeld, ai profughi di ieri e di oggi, ai campi di detenzione alle frontiere. Abbiamo attinto alle storie raccontateci o a quelle delle persone che amiamo, alla storia dei miei nonni partiti da Odessa nel 1905, in fuga dai pogrom, di mia madre e mio zio che, appena adulti, arrivano soli alla zona libera durante la guerra del 1939-40. Abbiamo poi scritto i capitoli del film con un riferimento alle fiabe per ciascuno. L’animazione permette di fuggire dal reale. Il fantastico s’inserisce naturalmente nel racconto, trasportato dalle immagini. Permette di riportare l’attualità, scegliendo di raccontarla attraverso un mondo onirico e metaforico. Mai abbiamo perso di vista che facevamo una storia per il tempo presente.

In «Au premier dimanche d’août» e «Conte de quartier» c’è un modo partecipe di osservare in dettaglio ambienti e personaggi. Che coinvolgimento emozionale hai con l’oggetto delle tue storie?
Tutti i miei film partono dall’osservazione del reale. Comincio disegnando, facendo schizzi. Annoto ciò che mi attira, sconvolge o diverte. Penso di guardare le persone senza fare sconti, seppur con una certa benevolenza. Non amo essere troppo caricaturale. Ogni mio film ha anche una parte autobiografica. Au premier dimanche d’août racconta i balli della mia infanzia. Le situazioni che mostro in parte le ho vissute. È al contempo un film sui miei ricordi e un quasi reportage. Conte de quartier riporta in secondo piano la demolizione e ricostruzione del quartiere dove lavoro a Parigi, della cui trasformazione ho testimoniato per più di un anno. Ho voluto raccontare la città attraverso una galleria di personaggi che s’incrociano senza vedersi. Cerco di rendere tutte queste informazioni che mi vengono quando lavoro su un film, ciò che conosco, leggo, annoto, raccolgo, mi emoziona o mi irrita…lasciando sempre spazio a una parte fantastica e onirica. È stato il caso anche de La traversée.

A cosa stai lavorando?
Tornerò al cortometraggio. Ho voglia di ritrovare la libertà che il film corto permette. Ho un progetto in fase avanzata. Sto finendo lo storyboard e la produzione inizierà in autunno. È la storia di un campione di nuoto basata su una storia vera.